Carlo Monticelli, capitano dei Futuristi in guerra

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Tra edere e sterpaglie la tomba trezzese di Carlo Monticelli, che comandava Marinetti e i Futuristi in guerra
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La Tomba di Carlo Monticelli a Trezzo

Tra due fronde (l’alloro del trionfo e la quercia della forza) un’aquila regge lo scudo sabaudo ad ali spiegate: sopra le campeggia il monogramma VCA, la scritta «Battaglione Lombardo» sotto. Questo inaspettato stemma (che sta pure sulla lapide di Umberto Boccioni) orna una tomba poggiata al perimetro nord del cimitero trezzese, vittima dell’edera e dell’oblio. Ci riposa Carlo Monticelli fu Fedele (1877-1934), istruttore e comandante del «Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti Automobilisti» (VCA appunto), che arruolò i Futuristi in guerra. Marinetti, Boccioni, Sant’Elia e poi Sironi, Piatti era a lui che obbedivano quando imbracciarono i fucili. I fucili e la bici.

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Carlo Monticelli

Insofferente ad ogni ristagno o Passato, la musa di questi scalpitanti artisti era l’Azione, di cui ritenevano forme anche la guerra e la bicicletta. Fu quindi in sella che i Futuristi raggiunsero le trincee della Prima Guerra Mondiale, dove caddero Boccioni, Erba e Sant’Elia. Incoraggiarono gli Italiani all’intervento con serate patriottiche, cortei spesso risolti in rissa: e la loro urgenza di morte li slanciò nel conflitto ormai innescato. Marinetti, respinto alla visita medica per un’ernia, se ne fece subito operare e militò accanto ai compagni, tutti volontari ai pedali nel «Battaglione Lombardo».

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Futuristi in formazione militare a Gallarate

S’impratichirono di tiro, marcia e tattica agli ordini del Monticelli, già tenente dei primi bersaglieri ciclisti, fondati nel 1897 ma integrati nell’esercito regolare solo un decennio dopo: in sella a minime bici pieghevoli fornite dalla ditta «Bianchi». Dopo il breve periodo in cui Monticelli smise la divisa per darsi all’industria e al commercio d’olio, non poteva essere che lui con le nuove mostrine di capitano a guidare degli artisti sui pedali, da Milano al fronte. Era nato napoletano il giorno di Natale del 1877; eppure sposò a Trezzo nel 1900 Giuseppina Radaelli, morenghese di nascita ma residente in paese fino alle nozze e alla nuova casa di Milano. Oggi riposano entrambi accanto alla cappella trezzese del poeta Luigi Medici. Il che spinse Luigi Sansone, già curatore della mostra meneghina sul «Battaglione Lombardo», alla biblioteca comunale «Alessandro Manzoni». A Magda Bettini, che ne è direttrice, lo storico offrì il catalogo («Patriottismo Futurista», ed. Mazzotta) delle opere eseguite dagli artisti sotto le armi ed esposte presso la Banca Popolare di Milano nel giugno 2007. Alcune ritraggono il capitano Monticelli.

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Lapide in memoria di Monticelli al poligono

Una lapide in marmo di Candoglia, a firma dello scultore Pezzani, lo effigia anche al Poligono di Milano. Ma il suo sepolcro trezzese resta invisibile d’edera e sterpaglie. Visto Monticelli condurre per le vie di Milano il battaglione, «bello come la parola “gioventù”» per Bucci, molti ritennero più goliardico che tattico mettere delle armi in mano agli artisti. Artisti sfacciati per di più, estasiati dalla velocità fino a dire «più bello della Nike di Samotraca» l’automobile, che era ancora un goffo sostantivo maschile. Tra loro pedalava anche Renzo Codara, corrispondente per la «Gazzetta dello Sport». Eppure, non fu una scampagnata. Destinato alla sorveglianza montana del lago di Garda, cui non era stato addestrato, il reggimento dei Futuristi in guerra vinse gli Austriaci a Dosso Casina: e la vittoria occupò la prima pagina a colori della «Domenica del Corriere».

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Da sinistra Marinetti, Sant’Elia, Sironi e Boccioni alla mitraglia

Nel prestampato della lettera «tipo Cangiullo» che gli artisti spedivano dal fronte, Marinetti appunta nella sezione «Piaceri»: «vedere Austriaci in FUGA». E alla voce «Totale» un’immancabile «Impazienza». Anche lui, messia del Futurismo, sentì l’affronto della paura in guerra e il morso del freddo nelle perlustrazioni notturne. Almeno fino al dicembre 1915, quando il Battaglione fu sciolto e rimpiazzato dagli Alpini. Rimasero solo gli album di schizzi e la nostalgia levigata nei raduni degli ex-volontari ciclisti quando, accanto a Marinetti, tornava a sedere il suo capitano: Carlo Monticelli.

Gli artisti che volevano le loro Termopili
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Sintesi futurista della guerra

Nel 1914 i Futuristi tentavano di convincere alla guerra un’Italia ancora neutrale. Lo fecero al grido di «Abbasso l’Austria!» o «Le bombe e il pugnale!» finché, nel maggio 1915, anche gli Italiani misero la divisa: e loro per primi, radunandosi nel Battaglione Lombardo. I Futuristi in guerra. A Milano ricevettero l’equipaggiamento ma, pedalando al seguito di Monticelli fino a Gallarate, impararono qui a giovarsene. Un mese e mezzo d’esercitazioni e marce li preparò a tutto meno che a combattere sui monti, compito che venne loro assegnato nella zona del Garda. Pietre e mulattiere deridevano le loro biciclette ma, che quella militanza fosse autentica lo dicono la vittoria di Dosso Casina e i tre Futuristi che la guerra lasciò sul campo.

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Stemma battaglione lombardo

«Noi dicevamo, un po’ per ridere un po’ sul serio, – scrive Anselmo Bucciche bastava uno shrapnel ben azzeccato per privare l’Italia d’arte durante un mezzo secolo». Si riferiva a certe granate che esplodendo impazzivano schegge e proiettili tutto attorno, mentre al posto dei pennelli i Futuristi militanti maneggiavano magari la pala che disegna trincee. Già nel dicembre del 1915 il Battaglione venne revocato e sostituito in loco dagli Alpini. Ma molti di quegli artisti non rincasarono, disperdendosi nei ranghi delle altre forze schierate. «Sognavamo tutti – si legge in Bucci – le Termopili che non ci vennero concesse». Scoprirono della guerra la fatica che istupidisce, le bestemmie per il freddo, le cadute dall’entusiasmo al torpore, la morte per davvero. La loro arte digerì tutto in schizzi ora ironici ora umbratili. In una parola, giovani.

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