Il pugnale fascista: “Selvaggia normalità” a Busnago

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L’omicidio fascista di Busnago lascia a terra l’oste Angelo Ripamonti nel 1931: l’assassinio, commesso dal trezzese Luigi Airoldi, viene imputato a suo papà Guerino. La colpa del figlio ricade così sul padre istigatore.
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I luoghi dell’omicidio (le foto sono tratte dal volume di Michele Giordano)

Raccontare il Fascismo? Ci è riuscito il prof. Michele Giordano (1952), ricercatore a Milano presso l’Archivio di Stato in via Senato: là dove dal 1932 lo aspettava il fascicolo giudiziario intestato a Guerino Airoldi e ai suoi squadristi trezzesi, imputati di omicidio. L’autore ne ha riordinato il caso in edizione, ritrovando la verità che «i documenti raccontano», come titola il bando di Regione Lombardia e Fondazione Mondadori che lo ha premiato per la capacità d’indagine e narrazione. Giordano ha pubblicato così «Una selvaggia normalità, La camicia del Regime in doppiopetto» (2012 Franco Angeli, 144 paggine, 21,50 euro). Un’operazione capace, che fa memoria di un periodo, quello fascista, troppo spesso eluso specie in provincia.

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Certo, non ci sono prove a suo carico. Le 5.500 Lire di ammanco al bilancio busnaghese sono ascrivibili all’inetta gestione dei dispensieri busnaghesi Paolo Solcia e Giulio Bonanomi. Invalido di guerra, l’ultimo dei due chiama «Giovanna» la bella moglie che tanto sembra piacere al presidente Airoldi. La decisiva riunione del 22 febbraio 1931 tarda mezz’ora per aspettare che certi soci escano dalla messa domenicale per entrare in cooperativa, ugualmente affacciata sulla piazza. Da qualche tempo, l’esercizio vende merci di poca qualità e troppo prezzo, soffrendo perdipiù un debito di oltre 5.000 Lire. La cifra viene imputato a Guerino al grido di «föra i furastee dal cunsili!» (fuori gli stranieri dal consiglio della cooperativa).

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Dopo l’approvazione del bilancio, i soci vorrebbero votare il rinnovo dei vertici, estromettendo l’Airoldi con disonore. Questi allerta i Carabinieri nel preventivo intento di conservare l’ordine durante la mattinata ma l’atteggiamento dei Busnaghesi lo indispone fino a scatenarne la brutalità. Pugnale e rivoltella. Già dal mattino Guerino chiede al capo-manipolo trezzese Alfonso Carminati di condurre qualche squadrista a Busnago «per mettere un po’ di pace», qualora i soci gli facessero la guerra. Tra le camicie nere, il più giovane Andrea Villa ha 23 anni contro gli oltre 40 di Gabriele Agostinelli, il più vecchio. Non hanno ordine di indossare armi o divise; devono solo recintare i sobillatori, scoraggiarli con uno sguardo. Dopo questo servizio, Guerino compensa gli squadristi pagando loro un lauto banchetto al Dopolavoro «Vittoria» di Trezzo, sull’attuale incrocio delle vie Garibaldi e dei Mille. Ma da quella tavola i ragazzi si rialzano presto per tornare a Busnago, dove uccidono l’oste Angelo Ripamonti e feriscono un cliente.

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«In principio era l’Azione». Giordano riscontra nel Fascismo un’urgenza di azione che riscalda anche Guerino Airoldi. La mattina del 22 febbraio, questi scende nelle cantine della cooperativa per alzare un brindisi col dispensiere Giulio Bonanomi ma viene inavvertitamente chiuso là sotto da Giovanna, moglie del Busnaghese. Quando risale, Airoldi è furente ma alla rabbia si aggiunge il risultato della consultazione, cui non ha potuto assistere, recluso là sotto: l’assemblea lo ha estromesso dalla presidenza. Guerino ordina allora telefonicamente che i suoi camerati tornino a Busnago dove giungono armati, con bici e auto sequestrate, pronti a sgomberare la cooperativa. L’irruzione disperde i soci a bastonate tra sedie e caraffe a terra, finché sulla piazza non echeggiano degli spari.

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Tra gli altri fascisti trezzesi, Guerino esce dalla sede con il figlio Luigi Airoldi e Alberto Pozzi, squadrista. Subito i tre corrono nell’attigua osteria Ripamonti, certi che i colpi esplosi provengano da lì. Sovreccitato, Luigi entra e affonda il pugnale nel petto di Angelo Ripamonti: cinquantottenne, l’oste si accascia al bancone. Guerino Airoldi, intanto, trattiene l’avventore trentaduenne Carlo Vergani incitando Alberto Pozzi perché lo accoltelli. Forse per quella volta in cui il Busnaghese viaggiò sul «Gamba da Legn» senza mostrargli il biglietto. La pugnalata non è letale ma Busnago piange Angelo Ripamonti, che muore mentre la polvere del tafferuglio si posa. Rincasando a piedi verso Trezzo, Guerino Airoldi e Albero Pozzi scendono in una roggia asciutta per conficcare a terra le armi insanguinate.

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Il dibattimento processuale comincia invano per l’imputato Luigi Airoldi che, all’infermeria carceraria, muore per tubercolosi il 1° marzo 1932. Ma le colpe del figlio ricadono sul padre. Vengono interrogati sulla vicenda nove testimoni. Molti di loro esaltano l’obbedienza fascista di Guerino: aggravano piuttosto la responsabilità del capo-manipolo Alfonso Carminati, che ha consentito l’insubordinazione delle camicie nere. Il fascicolo aperto alla corte d’assise in Milano si ispessisce fino alle 64 pagine che Michele Giordano ha consultato.

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Arbitraria e brutale, la spedizione fascista di Busnago grava specie sull’istigatore Guerino Airoldi, condannato in prima istanza a 12 anni e 6 mesi. Gli altri se la cavano con pochi mesi di reclusione. Alla vicenda, non vengono dedicati articoli di cronaca: solo il «Corriere della Sera» ne tratta in eloquente difesa di Airoldi. Questi ricorre in appello per contestare la complicità morale imputatagli, avendo egli incitato i giovani in camicia nera. Il 15 febbraio 1933 la sua condanna è definitivamente amnistiata a 5 anni di galera per concorso in omicidio, mantenendo però l’interdizione alle cariche pubbliche che gli costa la divisa di controllore sul «Gamba da Legn».

Per approfondire

6 Responses

  1. Livia Alessandrini

    Che piacere leggere questi racconti, e quanto sono belle e rare le fotografie. Un’Italia che risorge nelle memorie, un’Italia forte ed unica. Grazie per questo lavoro straordinario

    • Cristian Bonomi

      Grazie Livia! L’articolo ha suscitato qualche opposizione sui social ma il tuo entusiasmo mi rincuora e mi incoraggia a recuperare la memoria collettiva. Un abbraccio, c.

  2. Moreno Passoni

    Complimenti Cristian. Anche questo stralcio risulta interessante, così come gli altri pezzi che pubblichi e che leggo con vivo interesse. La storia, soprattutto dei fatti accaduti nel nostro paese, è sempre utile ed interessante. Grazie ancora

    • Cristian Bonomi

      Grazie Moreno. Ricordo (ed è il verbo giusto) la presentazione organizzata sulla storia Coop. Anche ricordare è una forma di resistenza. Anzi, fare memoria è rivoluzionario: perché nel passato troviamo lo spunto per costruire presentemente. Buona serata, c.

  3. Rino Tinelli

    4 parole, e sono avaro di complimenti, lo sai: “Cristian, sei un fenomeno”

    • Cristian Bonomi

      Sei troppo buono Rino, grazie. Se ogni tanto ne azzecco una, è perché ho avuto buoni maestri di storia locale come te, fin dai tempi della cantina dove impaginavamo con Minelli “Forza Tritium” e “Balverda”. Torno sempre volentieri a quel ricordo. Buona giornata! c.

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