I Patti Lateranensi affrescati al “Portico” trezzese

Al salone parrocchiale “Portico”, due dimenticati affreschi: i Patti Lateranensi e la chiamata di Cristo ai mietitori; moventi politici al confronto con quelli mistici.
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Bozzetto dell’Albertazzi per l’affresco sul lato Est.

Pennellate sgargianti e dimenticate. Negli anni Trenta il cantiere del «Portico», cineteatro parrocchiale oggi sala polifunzionale, si concluse in due affreschi. Il primo, immenso sulla parete est della sala ma occultato dalle quinte, raffigura Cristo mentre chiama i mietitori alla messe. D’anime. L’altro colora la lunetta centrale del loggione che due colonne e un architrave di quercia alzano sulla platea. Ritrae il Card. Pietro Gasparri intento a firmare i Patti Lateranensi, l’11 febbraio 1929, accanto a Benito Mussolini.

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La firma dei Patti Lateranensi, messa in affresco dalle foto dell’epoca.

«Il volto del dittatore è stato deturpato quando ancora erano caldi i cannoni della Seconda Guerra Mondiale – spiega Vittorio Riva, già regista della compagnia teatrale “Il Portico” – mentre quelli dei contadini che Cristo chiama al raccolto, sulla parete opposta, pare ripetano i connotati di alcuni trezzesi dell’epoca». A disegnare la scena evangelica fu l’arch. Archimede Albertazzi, che firmò anche i graffiti della «Storia dell’Asino», scandita sotto il portico che dà nome al teatro. A promuoverne la costruzione fu mons. Giuseppe Grisetti, che collocò la sala all’ombra della chiesa, appena rinnovata: «l’unica ombra che illumina» soleva dire. Volle la «Storia dell’Asino» per azzittire i molti pettegoli dissensi ai suoi impegni non minori: il restauro della chiesa, cui diede il nuovo campanile, la fondazione dell’oratorio maschile e di una cooperativa oltre che del «Portico».

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I mietitori dal volto trezzese.

Al suo esterno parla milanese la parabola contadina che condanna le chiacchiere e di cui Grisetti elesse anzi una frase a motto dell’oratorio: «A pretent de contentà tuta la gent sa crepa de fadiga senza cavan nient». Meglio mirare, più che alla distratta riconoscenza degli uomini, quella divina: così ribatteva agli squittii degli oppositori l’arguto monsignore, campione al gioco delle bocce e con una copia dei «Promessi Sposi» sempre sul comodino. Amava anche il teatro, tanto da infilarsi spesso nella buca del suggeritore, per imbeccare la battuta ai teatranti dell’oratorio (allora tutti uomini). Ma la scelta dei due freschi interni al «Portico» non fu decorativa né leggera. Nel 1934 Rosetta Colombo, allora ragazza, vi recitò una poesia che interpretava le opere come i due maiuscoli amori dell’ormai anziano sacerdote: Chiesa e Patria.

I Patti Lateranensi nella “Sala Conciliazione”
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Il Cristo che chiama al raccolto, affresco del Portico

Certo mons. Grisetti plaudì alla Conciliazione del 1929 e rispettò le autorità del Ventennio: chiamò inizialmente «Sala Conciliazione» l’odierno «Portico». Ma impedì di persona che le camicie nere irrompessero nella cooperativa cattolica da lui voluta. Senza contare che «una domenica del 1931 – scrive frate Gino Eugenio Colombo – le organizzazioni fasciste erano penetrate nell’oratorio, scavalcando i muri di cinta e bastonando i giovani. Anni dopo si misero anche a strappare il distintivo dell’Azione Cattolica dalle loro giacche». Perché allora raffigurare al «Portico» una scena fascista dirimpettaia a quella evangelica? Chi entri nella sala procede verso il Cristo, quasi ne fosse chiamato, accanto agli altri discepoli dal volto trezzese: e subito si lascia alle spalle la firma del 1929. Quest’ultima è un istante di storia, partecipato e applaudito dal Grisetti finché traduceva nel tempo politico il messaggio che il vangelo lancia all’eternità.

«Mussolini e il suo Fascismo – ha scritto mons. Sandro Mezzanotti, parroco trezzese tra il 1972 e il 1982 – furono sostenuti dal mio predecessore nella misura in cui servivano principi, modelli e valori ben precisi, che sono quelli cristiani». Il cristiano siede al tavolo politico finché può conservarsi tale, sembra dire Grisetti, ma se ne rialza non appena quel Cristo dipinto lo chiama ad altri raccolti. Il suo cammino è più lungo del tempo civile.

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