Libro di pietre, pietre che cantano: a Vaprio San Colombano offre fregi romanici di enigmatica eleganza.
Dal XII secolo almeno, a Vaprio San Colombano è chiesa che getta devota ombra sul piazzale riordinato nel 2011 dagli Alpini; proprio accanto all’ottocentesco ospedale Crotta-Oltrocchi, che diradò le boscaglie della zona.
San Colombano e le sinistre figure del Male
Chi varchi il portale, lascia scolpiti a sinistra i simboli del Male, cristianamente già sconfitto. In bilico tra umano e ferino, la sirena bicaudata solleva a sipario le due code sul sesso invitante. Ma, patrono dei Longobardi, san Michele arcangelo trattiene forse nella virtù l’anima minuscola. Sotto di lei, esausto di secoli, un nano pare cavalcasse una creatura inquietante: l’inconscio deforme prima di Freud. In vetta, tra due uomini una donna anima il capitello, forse interpretando Susanna calunniata dai vecchioni. Accusano di adulterio proprio lei che non si è loro concessa, salvo contraddirsi circa la pianta sotto cui l’avrebbero vista peccare. E giusto un albero scandisce la figurazione vaverina. Per di più il Libro di Daniele, che contiene quel biblico racconto, ispirerebbe i capitelli dell’interno qui anticipati dai leoni cui il profeta sopravvisse. Stanno di guardia con selvaggia eleganza, fedeli ai due estremi della facciata.
Il destro offerto al penitente
Sul lato destro del portale, un nodo stretto a più fasce restituisce il mistero della Trinità, sotto il cui segno l’agnello cristico sovrasta l’uomo vittorioso sulla bestialità: artistici inviti all’esule peccatore perché ritorni alla grazia paradisiaca, incamminandosi verso l’altare. Il fedele lavi la propria colpa nel sangue di Cristo e, risorgendo nel perdono, muova passi di ritorno al Paradiso Terrestre. Ogni devoto varca la soglia di San Colombano per rimpatriare in Dio, dimenticando a sinistra le tentazioni del Male, invitato com’è al Bene dai fregi sulla destra.
A Vaprio, San Colombano come paradiso ritrovato
I medaglioni dipinti attorno alla croce absidale potrebbero ospitare i quattro elementi. In alto a mancina, i contorni giallo e rosso del primo ritraggono forse il fuoco; l’aria è il secondo elemento, morbidamente contornato. L’epoca conforta la soluzione che, attorno alla croce, stiano in tetramorfo i simboli degli Evangelisti. Ma al loro posto i quattro elementi combinati dalla creazione troverebbero coerenza narrativa nei cortei di piante e animali che, procedendo dall’abside, un anonimo scalpello lasciò nelle pietre laterali.
L’arte sembra così riordinare i sette giorni della genesi: fuoco e aria, acque e terra, flora e fauna verso l’avvento di Adamo; l’uomo libero di scegliere il Male. Ecco così istoriati i traguardi del mondo creato da Dio, che a Dio ritorna sui passi del penitente incamminato all’altare.
Qui il capitello sinistro getta Daniele tra i leoni, da cui quello destro lo scolpisce superstite: l’uomo è sconfitto o vincitore nella lotta al peccato. Ricorre la moralità dei due lati, sinistro o destro in libera scelta. Il penitente che entri in chiesa ritorna così presso il Creatore dopo il pellegrinaggio del vivere: avanza verso il sole, perché la chiesa è orientata; ritrova il paradiso perduto nella cifra della decorazione absidale, ridiventa Adamo.
Sull’altare la croce dipinta tra i quattro elementi della creazione afferma vittoriosa che, già dalla genesi, Dio progettava la salvazione dell’uomo attraverso Cristo incarnato. Celebrando con le spalle al popolo, secondo il Rito Antico, l’officiante guida i fedeli a questo ritorno. La libertà colloca ciascuno nella costante scelta tra Bene e Male; lo testimoniano i fregi del portale e i capitelli, a destra e sinistra. Eppure, il paradiso ritrovato nell’abside tiene spalancate le porte come le braccia di Gesù sulla croce.
Della chiesa le successive manomissione, pittoriche e strutturali, appannano l’impianto originario cui non giovò nemmeno il malcerto restauro promosso dalla Sovrintendenza a metà Novecento. Resta intatta l’insistenza sul numero trinitario che conta tre ingressi e altrettante absidi, nella cui maggiore versano luce monofore da contare sopra tre finestre insolitamente abbottonate.
Le quattro età della vita, incrociate nella cappella meridionale e il coro dei santi dipinti nel presbiterio sono impronte seriori su un oggetto più antico. Un tempio alla cui edificazione lo stesso san Colombano sembra presiedere nella lunetta all’ingresso Sud mentre lungo il fianco opposto un Buon Pastore si trascrive sull’iconografia pagana di Orfeo incantatore. Nella facciata e all’altare destro un lapicida, francese forse, firmò la pietra con un giglio quasi millenario.
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Per approfondire:
– Armando Bacchiet, Dalla notte dei tempi un monumento. Il s. Colombano di Vaprio (1997);
– Fabio Scirea, Committenza colta in un borgo lombardo: la chiesa di S. Colombano a Vaprio d’Adda (2007); qui.
– AA.VV., E la parola scolpì la pietra.
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