L’amore e la clemenza dell’acqua, l’elemento che meglio racconta come passano le generazioni che rimangono in un modo più fluente e carsico.
Amore e genealogia. I più pensano la provenienza sotto l’aggrappata metafora delle radici: allora il cittadino nato e la natia città si appartengono, immobili e arborei. L’acqua è una figura migliore per ricapitolare gli antenati che, come affluenti, convergono segretamente in noi. Spade che scintillarono, baci scambiati all’altare, ennesime prime parole di bimbo, sciolte vele, polvere e gloria. Tutto questo occorre perché il sottrarsi degli avi si trasfiguri nel nostro esserci se «Nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma» (Lavoisier); o più misticamente «La vita non è tolta ma trasformata» (Missa Defunctorum).
Affinché sostenessimo il peso di questo minuto, i secoli hanno congiurato con l’irruenza dei fiumi in piena. Non sepolte radici ma acque vive ci conducono qui. E proprio lo scorrere, che passa ma rimane, è la migliore immagine del tempo se anche il greco parlato da Eraclito chiama «ladre d’acqua» le etimologiche «cleps-idre». Dei quattro elementi, questo è il più sapiente. L’acqua prende la forma di tutte le mani senza lasciarsi catturare mai da nessuna; porta a riva relitti e conchiglie, offrendo in dono la sua miseria insieme ai tesori. Se è pioggia, «ha un vago segreto di tenerezza / e reca in ogni goccia anime di fonti umili» (La pioggia, Garcia Lorca).
Quando la Lombardia calzava gli zoccoli, nel dialetto dei suoi contadini «parlà» valeva «amoreggiare» quasi che la parola fosse inventata per dire il sentimento. Terra e bestiame erano cure anche domenicali, allora, e le stanze troppo popolate non consentivano intimità nemmeno sotto la luna. Di questi antenati l’unica sosta romantica era la pioggia, il riposo unico: «L’amore si sveglia nel grigio del suo ritmo / e il cielo interiore ha un trionfo di sangue» (Garcia Lorca). La pioggia è incendiaria, accade fuori dalla nostra volontà. Come l’amore.
L’uso odierno preferisce la costruzione «fare l’amore» che risolve la passione in un complemento oggetto a disposizione della nostra mano capricciosa. Ma proprio come la pioggia cade incontrollabile fuori dalla nostra volontà, anche il sentimento ci sorprende con l’inattesa forza dei temporali.
Forse per questo, un tempo, si diceva più onestamente «fare all’amore». L’espressione non fa dell’affetto un complemento oggetto a disposizione delle due volontà. Al contrario, le sorprende; come si parla «a braccio» o si fa «a pugni» senza avere signoria sulle forze e le parole che ci sentiamo in petto. Conteniamo l’incendio perché diventi focolare ma il fuoco, come la pioggia o l’amore, non sta alla nostra obbedienza.
2 Responses
alessiofabbri
Un ottimo articolo, narrato con sensibilità e poesia. Grazie!
Cristian Bonomi
Grazie Alessio! Sarà il rispetto che entrambi abbiamo per le parole.