Carlo Borromeo, la croce che portò tra gli appestati

Carlo Borromeo, scalzo e con un cappio al collo, percorse Milano nel 1576 per implorare la fine della pestilenza con una croce processionale in mano. Conteneva la reliquia del Santo Chiodo, conservata nell’abside del duomo cittadino. Il legno venne poi donato al santuario carmelitano di Concesa; e da qui, soppresso quel chiostro, passò alla parrocchia di Trezzo che ancora lo conserva.
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Trezzo, la croce processionale del 1576 è conservata nella cappella del Sacro Cuore a lato dell’abside parrocchiale

Nel 1576 l’ago della morte cercava filo. La peste spopolava anche Trezzo, al cui castello si prese un cresimando proprio mentre a impartirgli il sacramento era il cardinale Carlo Borromeo (1).

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Moderna processione del Santo Chiodo, nuovamente collocato entro la croce di San Carlo Borromeo

Per invocare la fine del contagio, il Santo arcivescovo indisse tre processioni milanesi. E, nell’ultima, sabato 6 ottobre, presenziò a piedi scalzi con un cappio di umiltà al collo e tra le mani una croce in legno dai bordi dorati.

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Il rito della “nivola”

L’aveva fatta intagliare apposta per alloggiarci il Santo Chiodo, reliquia che da anni non veniva esposta, rimanendo vegliata da lampade perenni nella volta absidale del duomo; là dove, ancora oggi, viene raggiunta cerimonialmente dal cardinale in un elevatore chiamato «nivola», ogni anno nella solennità del 14 settembre (Esaltazione della Santa Croce).

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Parrocchia di Trezzo, Cappella di San Giuseppe, San Carlo conduce in processione il Santo Chiodo

Un affresco novecentesco, nella cappella di San Giuseppe della parrocchia trezzese, racconta il corteo del Santo tra i Milanesi scalzi e appestati. E lo fa proprio perché qui, nella cappella del Sacro Cuore, si conserva il legno in cui il venerato arcivescovo recò processionalmente la reliquia nel 1576. Suo cugino Federico Borromeo commissionò un’altra croce in cui trasportarla.

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Tomba del card. Monti in duomo a Milano
San Carlo, la croce donata al convento di Concesa

La croce originale fu invece offerta dal card. Cesare Monti al convento carmelitano di Concesa, dove voleva anzi essere sepolto. Malgrado le sue disposizioni, la salma venne inumata nel transetto del duomo milanese, consegnando forse al santuario lungo l’Adda i soli precordia del cardinale fondatore: cuore e polmoni.

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Il card. Cesare Monti, il cui stemma appare ai due lati dell’altare concesino, di cui fu fautore

Già nel 1649 un carteggio del card. Monti (2) rivela come la croce contenesse un’immagine del Santo Chiodo, che era entrata in contatto con la reliquia originale. Eleonora de’ Medici, sposata a Vincenzo I Gonzaga di Mantova, intese che il card. Monti le avrebbe inviato il legno conservato al chiostro di Concesa: e, dopo di lei, la figlia imperatrice Eleonora Gonzaga briga per ottenerlo fin dal 1667.

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Il santuario di Concesa a fine Ottocento

A quella data si riferisce che la croce è considerata donativo del cardinale al chiostro di Concesa da ormai 17 anni: «appesa ad un chiodo con poco decoro, nella guisa che si fa di una scrozola [stampella] data per voto, cioè sempre iscoperta, carica di polvere e ragnatele, e sempre esposta all’ingiurie dei tempi e del tarlo». Così scrive al card. Alfonso Litta don Paolo Francesco Modroni, perorando la richiesta dell’imperatrice spazientita dal rifiuto dei Carmelitani a cederle la reliquia.

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Santuario di Concesa, interno

Nel santuario di Concesa la prima cappella a sinistra, entrando, era dedicata proprio a San Carlo Borromeo. Esibiva l’originaria cassa lignea, foderata di seta cremisi, in cui ne fu composta la salma. E sull’altare stava la croce processionale contesa.

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Padre Telesforo

Secondo il memoriale, compilato nel 1917 da Padre Telesforo dei Santi Gioachino ed Anna (1841-1933), le due reliquie rischirono la diaspora in seguito alla soppressione napoleonica del chiostro carmelitano. Filippo Bellazzi rilevò il santuario soppresso, convertendolo in filanda: e, della seta che foderava la cassa di San Carlo Borromeo, pare rivestisse certe sue sedie.

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La fronte della parrocchia trezzese prima dei restauri novecenteschi, guidati da Gaetano Moretti

La croce processionale di San Carlo Borromeo scampò invece alla dispersione perché, nel 1836, venne collocata nella parrocchia di Trezzo sull’Adda; dove l’oggetto fu affidato dai Padri al prevosto. Lo stesso anno si provvide uno spazio adeguato. Sopra la croce, incassata a muro, stava un quadro raffigurante la Sacra Famiglia; sotto un San Luigi a ricamo con due tavolini ai lati.

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Interno della parrocchia trezzese prima dei restauri novecenteschi

Così almeno riferisce in sede di visita pastorale l’arcivescovo Carlo Bartolomeo Romilli nel 1853 (3). I Trezzesi attribuirono alla croce di San Carlo Borromeo la fine del colera, nel 1836, quando il morbo seppellì solo 43 morti. Il legno è ancora venerato nella prepositurale di Trezzo, nella cappella del Sacro Cuore, a lato dell’abside.

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(1) Antonio e Aristide Sala, Biografia di san Carlo Borromeo, corredata di note e dissertazioni, Milano 1858, pag. 71.

(2) Archivio Storico Diocesano, Visite Pastorali, Pieve di Trezzo, vol. 14; pubblicato in Antonio e Aristide Sala, Op. cit., pag. 444, nota VIII.

(3) Archivio Storico Diocesano, Visite Pastorali, Pieve di Trezzo, vol. 23; pubblicato in Antonio e Aristide Sala, Op. cit., pag. 445, nota VIII.

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