La trovatella Tecla Smalti Piccin “della Pietà” di Venezia, da figlia rifiutata a madre di eroi, caduti nella Grande Guerra. Migrazioni e pubblica carità nel Veneto di metà Ottocento.
Iniziando dalla fine, Tecla Smalti “dea Pietà” muore ottantenne a Borgo Piccin (Nove di Vittorio Veneto) il 20 gennaio 1939, dieci esatti mesi prima del marito ottantatreenne Antonio Piccin detto “Tone Simoi”, figlio di Giovanni e Salvador Maria. Il nomignolo dialettale di Tecla, “dea Pietà”, denuncia come la sua nascita fosse esposta e illegittima. La riforma napoleonica dispone che un addetto interno ai brefotrofi assegni ai trovatelli un cognome inventato, per evitarne la discriminazione: “Smalti” ha questa origine. Tuttavia, l’anagrafe popolare registra ancora il soprannome “della pietà” per additare quanti provengano dall’istituto di Santa Maria della Pietà in Venezia. Lo stesso stigma si esprime nei dialetti lombardi con la formula “da l’uspadaa”: figlio dell’ospedale, affidato cioè alla pubblica carità.
Nata alle ore 3.00 del 17 maggio 1858 presso l’Ospedale civile di Venezia, la bimba viene battezzata nell’attiguo parrocchia dei Santi Giovanni e Paolo, ricevendo al fonte i nomi di “Filomena Angela”. Dal nosocomio, la bimba viene accolta dal Pio Istituto di Santa Maria della Pietà al progressivo 282 del registro di ruota: il torno, cioè, dove i trovatelli vengono esposti. Un biglietto di scorta e la fede battesimale accompagnano la consegna di Filomena Angela, che ottiene solo poi il nome di “Tecla”. Viene inoltre affidato agli archivi della Pietà la metà di un santino, che raffigura la Beata Vergine della Salute in Venezia; immagine devota di cui il genitore naturale conserva la porzione strappata nella remota speranza del ricongiungimento. Simboli simili sono vari e commossi, essendo talora piccoli oggetti, medaglie o persino carte da gioco.
“Sana, vaccinata il 22 corrente con esito felice, di madre sana”, Tecla risiede brevemente al brefotrofio. Il biglietto di scorta insiste due volte sulla salute, che persino la Madonna in venerata effige viene convocata a sorvegliare. Burocratica e devota, questa cura restituisce i rischi di mortalità infantile e di contagio sifilitico, temuti specie tra i figli esposti. Se la città li ha concepiti nel “peccato”, è in una presunta campagna di virtù rurali che i bimbi sono affidati a balia. Il 1° giugno 1858, Tecla viene così consegnata all’abbraccio di Angela e Antonio del Pio Luogo, residenti in Serravalle nel distretto di Ceneda, località riassunte nel toponimo “Vittorio” (poi “Veneto”) dal 1866 per omaggio al primo re d’Italia.
Dopo lo svezzamente, Tecla rientra all’istituto veneziano, dova la adottano Andrea Trebian e Augusta Spinato: residenti anch’essi a Serravalle, presso Santa Giustina. Smalti siede alla loro tavola fino alle nozze con Antonio Piccin, celebrate il 6 marzo 1882, ricevendo così dalla Pietà il consueto premio dotale di 93,33 Lire. Tramite il sindaco di Vittorio, la novella sposa ne sollecita anzi l’elargizione, essendo prossima a migrare col marito in territorio elvetico per aderire ai cantieri ferroviari allora ferventi in Svizzera. Nella Grande Guerra, Tecla piange la morte dei figli Pietro (morto in prigionia, 5 marzo 1918) e Isidoro (Milano, Ospedale Militare Principale, 10 marzo 1920); Con minuziosa poesia, i nipoti di Tecla ricordano la striscia di stoffa da cui un paio di forbici le pendeva dalla cinta, per ogni utilità domestica.
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Ringrazio le dottoresse Clara Urlando e Deborah Pase (Archivio storico) dell’Istituto Provinciale per l’Infanzia “Santa Maria della Pietà“.
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