Giuseppe Grisetti (1866-1936), monsignore e prelato domestico di Sua Santità, non faceva vanto di questi titoli: commissionò anzi il proprio ironico stemma coronato di ortaggi mentre costruiva cose grande con umile mano. Restaurò tra l’altro la parrocchia di Trezzo, ricostruendone il campanile su progetto di Gaetano Moretti.
A Milano in Porta Ticinese Vincenzo Grisetti e Flora Borghi decisero di battezzare «Giuseppe Grisetti» il figlio nato nel 1866. Frequentando l’oratorio «San Carlo», Giuseppe scoprì presto di volere il «don» davanti a quel nome. Entrò in seminario con tale fermezza che, a ventidue anni, già ne usciva sacerdote verso il primo incarico pastorale.
Giuseppe Grisetti fu uno dei tre coadiutori attorno al prevosto di Trezzo don Carlo Rizzi (parroco dal 1887), con cui risolse di costruire l’oratorio trezzese «Villa Quiete» sulle terre donate dalla famiglia Medici sulla via che ancora porta quel cognome ma impegnando finanziariamente del proprio. L’edificio gli era anzi intestato. Istituì una «vincita» per chi rendesse educativo il gioco e chiamò molti ragazzi sul palco, inscenando rappresentazioni teatrali cui assisteva prontamente dalla buca del suggeritore.
Nel 1898 Giuseppe Grisetti aprì il sipario sull’operetta «La Libertà», satireggiando il figlio del sindaco anticlericale che se ne vendicò serrando l’oratorio per sei mesi. Dal pulpito, Grisetti amava citare di Giovanni Papini la «Storia di Cristo» e i «Promessi Sposi» del Manzoni, che teneva sul comodino.
Intervenne quando minacciava di rovinare la torre campanaria i cui rintocchi Renzo Tramaglino s’immagina di sentire, attraversando l’Adda. Innalzato in tre riprese senza irrobustirne la radice, il campanile era troppo incerto su quelle fondamente per essere restaurato (come inizialmente previsto) e venne abbattuto nel febbraio 1907.
Don Giuseppe Grisetti affidò definitivamente di erigerne uno nuovo all’amico Gaetano Moretti che, negli anni successivi, diresse il restauro dell’intera parrocchia con Ambrogio Annoni.
Energico e diplomatico, Grisetti incoraggiò i Trezzesi a cedere anche le uova del venerdì per pagare le 12 campane issate sulla torre nel 1914. Pioveva, quel giorno.
Don Giuseppe Grisetti istallò la prima linea telefonica, in canonica, per aggiornare il popolo sulle notizie dal fronte durante la Grande Guerra. Puntuale giocatore di bocce, coronò di carote e cipolle il suo ironico stemma, che scandiva come fosse una lingua morta il dialetto dell’ultima sentenza nella «Storia dell’Asino»: «Apret End Dekont Entat Uttal Agent-Sek Rep Adef Adigas Enzacavann Yent»; nel tentativo di accontentare tutti, si crepa di fatica senza cavare alcun vantaggio. Così sentenzia il racconto dei due contadini, padre e figlio, che si affannano compiacere la gente incontrata lungo il cammino: prima mettendo il figlio in sella all’asino, poi il padre, entrambi infine prima di portare loro la bestia in spalle per ossequiare le osservazioni del popolo anonimo. Nell’ultima scena, l’asino viene liberato. Raglio d’asino non arriva in cielo.
Grisetti ebbe tanto cara questa favola da ritrarla persino sul sagrato parrocchiale:forse prendendo ispirazione dal santuario della “Madonna del Bosco” (Imbersago, Lc) che la propone sotto il portico dei pellegrini. Grisetti sembra rispondesse con questo racconto a quanti condannavano il suo operato, apostrofandolo «sacc d’oss» in riferimento alla costituzione assottigliata dal cancro allo stomaco.
Giuseppe Grisetti inaugurò il teatro parrocchiale «Conciliazione» (poi «Il Portico») e la cooperativa cattolica, scampandola alle razzie fasciste. Divenne prevosto, monsignore, cavaliere, prelato domestico di Sua Santità senza smettere quella misura tutta trezzese. E trezzese morì nel 1936.
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Gaetano Moretti, architetto tra due mondi - IO PRIMA DI ME
[…] il primo contatto del maestro con la valle dell’Adda, poi frequentata su invito di mons. Giuseppe Grisetti. Cattedrali laiche e devote: idroelettricità, ciminiere e torri campanarie alte come […]