Civica benemerenza alla memoria nel 2013, Aberardo Cortiana tenne scuola di dialetto lombardo, lo disciplinò in grammatica scritta, innalzò il vernacolo alla perfezione della metrica classica e versò persino l’Antico Testamento in filastrocche dialettali.
Battuta pronta dietro agli occhiali scuri. Ricordano così il maestro Aberardo Cortiana in moltissimi: ex-scolari, lettori, coscritti del 1930. Quell’anno «’berardo» nacque il 7 settembre da Clementina Colombo «Castalona» e Fiorentino «Süchèl», che ne affisse il fiocco azzurro a Trezzo su vicolo Ghiaccio. Del natio rione «Balverda», Cortiana diede il nome anche alla casa di via Mazzini, dove si trasferì nel 1989. Qui restano sul tavolo le foto delle scolaresche cui, presso le elementari in Grezzago, insegnò fino al 1983; i blocchetti dove appuntava a matita gli spunti, passeggiando sull’Adda; i libri che pubblicò per fare scuola di dialetto lombardo.
Le poesie di Carlo Porta, sullo scaffale, e la prosa storica di Indro Montanelli sembrano i volumi più sfogliati. Era un’intelligenza disobbediente, Aberardo Cortiana, che ebbe questo nome altisonante dalla zia paterna suor Anna Aberarda: superiora alla clinica privata nel Sud-America da cui gli fu madrina di Battesimo per procura. Cortiana ebbe infanzia a piedi scalzi lungo l’Adda; figlio com’era dell’operaio che, alla centrale idroelettrica «Alessandro Taccani», rastrellava dai detriti l’ingresso delle acque in turbina.
Ma come il fratello partigiano Alfredo (1922), maestro di musica, Aberardo voleva sapere cosa stava scritto nei libri: «e non smise di imparare nemmeno quando iniziò a insegnare», sorride la moglie Giovanna Colombo. Si conobbero in paese alla tessitura Rolla, dove erano entrambi operai; lui fece un corso professionale, passando alla Perolari bergamasca prima di impegnarsi nell’azienda telefonica. Dal 1957 lavorò come centralinista notturno sotto le insegne STIPEL per chinare le giornate sullo studio autodidatta quanto bastò a incorniciare nel 1960 il diploma di abilitazione magistrale.
Insegnò brevemente a Busnago e Vimercate, dove parcheggiava la vespa davanti alle scuole elementari. Chiamava i più piccini «patei» che, in dialetto, significa «fiocco di neve» oltre a «pannolino». Resse la definitiva cattedra di Grezzago fino alla pensione, educando secondo creatività: propose ai bimbi interviste tra gli anziani, recite, canti che lui stesso guidava col pianoforte. Per il Natale del 1961 ne comprò uno milanese, sulla cui tastiera improvvisava col piglio che già nonno Mosè Cortiana aveva per la fisarmonica. «Imparò latino, musica, disegno senza che nessuno glieli insegnasse – ricorda Mariella (1966), la figlia nata quattro anni dopo Giuliana (1962) – amava ripetere dall’Ecclesiaste: “Omnia tempus habent”; ogni cosa ha il suo tempo».
Ma venne quello della malattia che, invidiosa e degenerativa, lo spogliò di ogni acutezza. Nel maggio 2010 Aberardo raggiunse la fondazione «Marcello Zanetti» di Oppeano (VR), nel cui dintorno abita la primogenita Giuliana. «Dobbiamo un maiuscolo “Grazie” a tutto il personale medico – dicono a una voce le due sorelle – ci ha confortati nella malattia di papà con affetto e scienza fino all’addio dell’aprile 2013». In istituto ancora un anno fa «’berardo» gliele suonava, alla malattia, improvvisando su una pianola.
«Affinché ricordino la parola e lo spirito dei nostri padri». Così Aberardo autografò alle figlie «Tress in dal so dialett» (1996): la grammatica vernacolare che, dedicata alla moglie, l’autore adottò anche durante il corso di Trezzese tenuto ai Trezzesi nel 2000. Provvisto di audiocassetta, il volume recupera dal solaio proverbi e racconti contadini, ne discute etimo e fonetica. Cortiana maturò l’edizione in buona rincorsa, già fondando con Angelo Minelli «Bôcc» la testata in vernacolo «Balverda», su cui si firmava «Abe.Co»: in inchiostri castano nostalgia il foglio uscì poi per più di vent’anni.
«’berardo» compose versi per la raccolta «Cenere di Fiori» (1972), in occasione del concorso «Luigi Medici» (1984) e per il settantesimo della calcistica «Tritium». Tenne scuola di dialetto lombardo. Pubblicò con la Classe 1959 il taccuino d’inizio millennio e dettò alla figlia Mariella le «Semiserie Storie Dialettali» (2003). Operatore radar sotto le armi (tra Palermo e Latina), autodidatta arrabbiato, Cortiana contaminava il sapere antico con l’odierno: disciplinò per iscritto un dialetto solo parlato, innalzò il vernacolo alla perfezione della metrica classica e versò l’Antico Testamento in filastrocche dialettali. Le «Semiserie Storie» parlano all’Altissimo con la lingua bassa dei contadini: «bassa come la terra da cui tutto sale». Le sue rime ritrovano Noè sull’Adda, che Aberardo amava percorrere ciclista, pescatore o al braccio dell’energica moglie Giovanna.
«I tampèsti hon lasaa ‘l segn / ma nüm sôta con l’impegn». Così scriveva Aberardo a Giovanna, per i quarant’anni di matrimonio (1995) dopo i quali «la grandine ha lasciato qualche ammaccatura / ma il nostro Amore è intatto». Povera traduzione, l’italiano ridurrebbe a «respiriamo nel sereno» anche la chiusa: «Dài, slarghemas in dal bell». Cortiana sciolse versi di ruvida commozione persino sull’ecografia del nipotino Filippo (2002), prima ancora che nascesse: «pastrugnìn», lo chiama. A lui, come a Stefania (1993), dedicò poesie in dialetto e francese; rifinite certe volte con disegni a matita. Colombi, volti, fiori.
Quando era maestro in Grezzago, Aberardo rincasava con la giacca firmata a penna dagli alunni senza che mai la cosa lo offendesse. «Si sintonizzava così bene coi bambini, essendo forse rimasto uno tra loro, stupito dal mondo – confessa la figlia Mariella, non senza commozione – eppure, era a lui che ricorrevamo ancora da adulti, perché ci spiegasse una volta di più il Genesi o la radice quadrata». Trezzo deve l’onore delle armi ad Aberardo, sentinella della memoria nostrana che ci chiamò a scuola di dialetto lombardo.
One Response
Marco
Grazie Cristian, nella prima foto in alto la presentazione, del libro edito da Aberardo, in via torre fuori dalla libreria. All’interno si vedono i disegni di D’anneo. Nella giornata era intervenuta anche Cinzia Zovi che per il gruppo teatrale “il portico” aveva letto dei brani. Ricordo donna Bassi e Alessandro Bassi seduti su alcune sedie che avevamo posto nella via.
Ciao
Marco per la Libreria “il gabbiano”