Soldati e corpo scritto, lettere dalla Grande Guerra

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Il corpo scritto dei soldati: conservate in casa Bassi a Trezzo, le lettere inviate dal fronte della Grande Guerra a donna Margherita Trotti Bentivoglio restituiscono il fango e la gloria, le censure e la prigionia, il sangue sulla neve e la morte per davvero. Spesso quello delle lettere è l’unico corpo ricomponibile quando i famigliari non possono piangere la salma del soldato caduto in trincea.
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Archivio famiglia Bassi – Trezzo

Già alla vigilia della belligeranza italiana nella Grande Guerra, sul territorio nazionale sorgono «Comitati di Preparazione Civile», che dopo il 24 maggio cambiano talora nome in «Comitati di Mobilitazione Civile». Animati da sezioni femminili interne, questi enti ambiscono a promuovere pubbliche sottoscrizioni e iniziative di vario soccorso ai figli dei soldati; per spedirli agli arruolati, inoltre, i Comitati confezionano indumenti in lana già entro il rigido inverno 1915. Un’associazione simile nasce anche a Trezzo per il più ampio coinvolgimento della patronessa, Donna Margherita Trotti Bentivoglio vedova Bassi (1844-1921), che intrattiene relazioni ugualmente benefiche con la Croce Rossa, la Croce Verde e la «Simul Pugnando» di Milano.

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Donna Margherita Trotti Bentivoglio Bassi nel salone di casa, dove riceve i soldati a Trezzo (Foto Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Patriottismo e quota sociale, familiarità con gli ambiti politici e marziali candidano la nobildonna a riferimento dei Trezzesi che partono per il fronte. Dall’8 agosto 1915, annota in agenda nome e grado militare dei soldati che le fanno visita prima di raggiungere per le trincee.

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Archivio famiglia Bassi – Trezzo

Nelle settimane successive, invia loro la maglieria realizzata in seno al «Comitato di Preparazione Civile – Trezzo sull’Adda», efficiente dal 15 agosto successivo. Provvede lei le spedizioni per l’associazione, essendone patronessa, ma si premura di rispondere personalmente ai soldati che dal 3 settembre le scrivono per ringraziarla degli indumenti. I carteggi, che coinvolgono oltre 140 soldati, si infittiscono fino al 1920.

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Archivio famiglia Bassi – Trezzo

Gli invii contengono gli indumenti offerti dai parenti del milite e soprattutto dal Comitato: calze, guanti o passamontagna lavorati a maglia dalle donne trezzesi nella lana che viene loro distribuita secondo lo scrupoloso registro di Donna Margherita. Assistita dalla figlia Costanza, la nobildonna attinge informazioni sulla sorte dei soldati trezzesi dai più alti ranghi militari, da cappellani, direttori d’ospedale e infermiere; avvia l’abbonamento del pane a quanti siano internati nei campi di prigionia nemici; perora il rilascio di licenze agricole e sussidi alle vedove di guerra.

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Barzaghi Assunta Clementina, vedova di guerra per la morte di Monzani Rocco Giuseppe (Foto Tina Barzaghi, Trezzo)

Non il corpo del milite caduto ma, più spesso, quello delle lettere resta l’unico corpo da ricomporre mentre si raffreddano i cannoni della Grande Guerra. Il fondo Bassi restituisce al meglio il ritmo, il tenore, lo stile e la grafia delle corrispondenze dal fronte, perlopiù compilate in franchigia su cartoline illustrate «verificate per censura» (come recita il timbro): raramente su carta da lettere, preferita solo da ufficiali o in genere da chi abbia permesso e abilità di raccontare più distesamente la vita in trincea.

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Località oscurate in lettera dal fronte (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Incerte calligrafia e certezza di vittoria. Nei postali trezzesi dal fronte sono frequenti formule di congedo come «Mi scuso del mio male scritto» (13 marzo 1916, Carlo), «Mi scuserà tanto dello scarso scritto» (4 giugno 1916, Mario) o «Scusi, Signora Margherita, se scrivo male e in fretta» (9 novembre 1918, Luigi). Sono le consuete frasi al destinatario perché sopporti la poca dimestichezza con la penna del mittente: talora, uno scrivano semi-analfabeta titolato a comporre sotto dettatura anche di più soldati compaesani.

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Archivio famiglia Bassi – Trezzo

Il formato delle cartoline consente poca ampiezza alla scrittura, scampando i soldati analfabeti all’imbarazzo di articolare racconti di vita militare, esposti del resto a censura capillare. Perché non siano intercettati a vantaggio del nemico, nemmeno i luoghi vengono riferiti se non genericamente, preferendo l’indeclinabile dicitura «zona di guerra».

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Un “male scritto” dal fronte (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Emergono usi scrittori di trincea: alla patronessa donna Margherita Trotti Bentivoglio si riserva il più alto rispetto, riscaldato però dalla riconoscenza («Carissima Padrona» scrive Giovanni il 19 giugno 1918, essendo contadino sulle terre Bassi); la parola «paese» annoda insieme la nostalgia per Trezzo e l’Amore patrio. «Siamo forti cittadini d’Italia ed anche il nostro buon paesello sarà lieto di noi per la nostra vittoria finale», scrive Ambrogio a nome di otto Trezzesi. «Siamo stati a fare grande e bella la nostra Patria. Speriamo che al ritorno si possa essere un poco rispettati dal paese come veri cittadini», rincara Luigi il 9 novembre 1918.

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Archivio famiglia Bassi – Trezzo

La patriottica difesa dei confini nazionali parte emotivamente dal podere e dal cortile, dove più spesso ritorna; affidando a donna Margherita anche di salutare padri e madri del milite. «Cari genitori, spero che i lavori della campagna vadano bene», divaga Luigi il 15 giugno 1916. «Che cosa direbbe e che cosa penserebbe il povero genitore che si trova a casa?», dispera l’insubordinato Giovanni il 7 luglio 1918. La propaganda somma i sentimenti di affetto per il borgo natio, che è di ciascuno, nell’amore generale per una Patria natia che sia di tutti. Slogan ed espressioni di gloria vengono sinceramente accolti nella prosa dei soldati.

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Archivio famiglia Bassi – Trezzo

L’11 ottobre 1915 scrive Bartolomeo, poi caduto in combattimento: «Noi siamo qui come leoni feriti, aspettando con grande ansia l’ora decisiva del grande comando, onde dare l’assalto e sterminare per sempre l’indegno ed inumano nostro acerrimo nemico. Ci sorridono al nostro sguardo le nostre cittadine fraterne, gloriose e festanti: attendono l’essere finalmente da noi liberate e consegnate sotto il manto materno. Speriamo che presto venga l’ora decisiva onde far valere il risorto sangue dei padri nostri ed atterrare per sempre l’aquila vigliacca ed incivile austriaca tedesca».

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Alpini trezzesi, foto dal fronte; o meglio “dalla fronte”, come allora si preferiva dire (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Ancora Bartolomeo, il 9 marzo 1916: «Per noi Italiani non le tormente di neve, il vento, l’acqua ed il freddo ci fanno venir meno ai sacrosanti nostri doveri. I lavori nostri sempre procedono febbrilmente bene: e presto tutto sarà pronto al sacro cimento dell’odiato e secolare nemico». Il nemico riesce sempre «barbaro»; «sacro» il suolo per genuina adesione agli incitamenti degli ufficiali. Per quanto suonino retorici, adagi come questo sostengono i soldati anche quando la speranza precipita. «Il soldatino trezzese non trema mai» ripete Pietro (18 agosto 1916), più a se stesso che alla destinataria.

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Monzani Rocco Giuseppe, caduto trezzese (Foto Tina Barzaghi)

Avventurando la confidenza oltre le frasi di propaganda, i militari si commuovono: offrono al lettore la loro stremata sensibilità. «Spero e credo che Iddio mi tenga sempre la mano in testa; se no, è impossibile avere la fortuna d’arrivederci» (Mario, 4 giugno 1916). «Non me la credevo così. Ho sempre pazientato ma è già un po’ di giorni che mi auguro la malattia di mia moglie e morire in vece sua.. perché oggi, Sig.ra Bassi, mi son sempre fatto coraggio; ma si vede proprio che questa guerra non finisce mai, e non ho mai detto a nessuno quello che si soffre ma si soffre tanto.. Speriamo che qualche buona stella abbia a proteggere me e i miei figli, che è più quello che mi tormenta: sempre domandano del loro papà. Anzi, ce n’è uno, cui mio cognato ha regalato la bicicletta, e vuole venire a trovare il papà Mario in bicicletta: quanta innocenza in mezzo a sì tanta violenza!» (Mario, 30 settembre 1916).

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Foto dal fronte (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

«Alzo la mia misera mente al Dio degli eserciti, sperando rassegnazione o coraggio» (Emilio, 6 dicembre 1916). «Le dico proprio cosa mi sento nel mio cuore, che non ho mai avuto il coraggio che ho ora. Speriamo che quest’anno termini con la Vittoria Italiana; e allora innalzeremo le bandiere e grideremo “Viva l’Italia, viva l’esercito!” e con questi gridi tutti ci uniremo, come fratelli, e torneremo ancora alle nostre case, vicino alle nostre spose e figli, contenti e soddisfatti di aver fatto il nostro dovere» (Giovanni, 19 febbraio 1918).

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1918, Foto dal fronte (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Il vero contenuto dei carteggi non è però lo scritto, oscillante tra confidenza e retorica. Ampia parte degli invii non reca infatti che auguri per le festività, dal Natale all’onomastico di donna Margherita. Il testo è pretesto. Spedito e ricevuto, il postale testimonia piuttosto che il soldato è in vita all’epoca della spedizione. Questo innesca una rincorsa di invii quotidiani persino, promossi tra i ranghi specie dopo la successione di Armando Diaz a Luigi Cadorna in capo dello Stato Maggiore. Si incentiva allora la distribuzione statale di cartoline in franchigia e illustrate, comunque suscettibili di stringente censura.

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1918, Foto dal fronte (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

La celerità delle consegne postali, smistate a Treviso dal fronte e a Bologna in risposta, è rallentata appena dalla censura. Al controllo, scampa la vibrante lettera senza data che un anonimo invia a donna Margherita, sperando però in lei un uditorio più vasto: «Carissimi miei Signori, io vi scrivo questa mia lettera per farci sapere le condizioni de noi soldati, che siamo qui in trincea. Adesso abbiamo fatto questa avanzata. Bisogna essere stati qui a vedere questo macello: tutti padri di famiglia, erano là ammazzati.. Altro che ascoltare i giornali, che dicono sempre poche perdite dei nostri; e invece: sono macello di noi poveri straccioni che fa la guerra. Sono tutti disgraziati. Io adesso vi dico un’altra cosa: non solo morti ma quelli senza gamba, senza braccio. Chi ci darà da mangiare ai suoi figli? Cari signori, pensateci un po’ anche voi, che potete mitigare questo macello.. Sarà meglio per tutti, altrimenti sono pasticci. Vorrete proprio farmi morire tutti? O qualcheduno aspetterà ancora che la guerra si prenda tutto?».

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Elmetto italiano (Raccolta famiglia Bassi – Trezzo)

I soldati mittenti collocano donna Margherita Bassi sempre più al centro della loro fiducia, eleggendola a riferimento morale e operativo oltre la dignità di patronessa sul comitato trezzese. Spontaneamente della guerra gli scritti raccontano così la polvere e la gloria, il sangue sulla neve.

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1918, Foto di manovra aerea (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Gli otto Trezzesi affidati allo scrivano Ambrogio restituiscono il cameratismo: «Rispettabile Donna Margherita. Un gruppo di Trezzesi, siamo qui in molta allegria, in attesa di una nostra vittoria.. Siamo qui riuniti, tutti padri di famiglia.. Ma oggi chi mi chiama è la madre Italia: per ella e per il diritto nazionale, siamo felici anche [se ci sarà] un non nostro ritorno. Ora qui abbiamo del vino e in molta allegria si brinda per la grandezza della cara patria».

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1918, la guerra in sella (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Con qualche ironia, dalle trincee Pietro allude persino ai pidocchi, il 15 settembre 1917: «Quelle care bestioline che dan da fare a noi soldati, sono davvero tanto carine che mi fanno venir matto. Nella tregua di un momento, che si dovrebbe riposare, si muovono a cento a cento. E’ inutile spargere tanto sangue».

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Lettera di soldato trezzese dai campi di prigionia nemici (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Il 13 marzo 1916 Carlo testimonia la vita militare sulle nevi del Palombino. «Senta, Signora, il nemico più che abbiamo di combattere è la neve che da molti giorni cade incessantemente che fa paura a vedersi. Due giorni fa è caduta una valanga. Sono rimasti sotto due dei miei compagni: uno è riuscito a liberarsi e l’altro è rimasto sotto due ore, e poi l’abbiamo trovato cadavere. Poveretto, fortuna che non aveva né moglie né figli».

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1918, Foto dal fronte (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Mario scrive dalla Marmolada, il 30 settembre 1916: «Passeggiata memorabile per me, che non ho mai avuto lo zaino così pesante, perché ci hanno riforniti di cappotto e sacco di montagna e altri indumenti di lana; le garantisco che una così sforzata marcia non l’ho mai fatta da che sono militare: a la prima, mi si è rotto lo zaino, poi a metà della Marmolada (la montagna dove noi siamo) cominciò la più faticosa delle marce, arrampicare con corde in mezzo alla neve, che per lo più anche cadeva, e via sempre di questo passo sino alle 10 e mezzo di sera.. Altro che diventar pazzi, un freddo indiavolato! In tanti luoghi non si può fare un passo che, se ne fai due indietro, si sdruciola; si è sempre inzuppati d’acqua, nel fango».

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Borraccia italiana risalente alla Grande Guerra (Raccolta famiglia Bassi – Trezzo)

Carlo descrive persino i turni in prima linea, l’11 febbraio 1916: «Al ritorno dalla mia licenza, ho trovato il mio Reggimento che cambiava posizione, e ora ci troviamo tra il Monte Sabotino ed il Podgora.. e facciamo tre giorni in trincea di prima linea e tre giorni in seconda e tre giorni in terza e poi si ritorna di nuovo in prima linea e via di seguito che ci diamo il cambio tra noi tre battaglioni del Settimo Reggimento fanteria».

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1971, Il sindaco Carletto Colombo assegna il Cavalierato di Vittorio Veneto a un reduce trezzese (Archivio Comunale – Trezzo)

Con certo pudore, i soldati riferiscono in breve del proprio ricovero negli ospedali militari, quasi sprezzando il ferimento o la malattia. Indulgono più felicemente sui combattimenti vittoriosi. Il 7 luglio 1916, riferisce Angelo: «Ma se Lei era qui in quel giorno, era cosa da meravigliarsi a vedere lo spirito e lo slancio dei soldati italiani. Con grande velocità andavano a scacciare gli Austriaci e gridavano “Viva l’Italia!”. Avanti sempre, Signora». Luigi, il 15 agosto 1916, racconta di cinque soldati nemici consegnatisi alle linee italiane: «Ogni tanto facciamo qualche prigioniero, e spesso volontariamente vengono dalla nostra parte, per porre fine al duro martirio e per godere la dolce prigionia in Italia. Ci fece una bella impressione il giorno 10 corrente, quando il mattino di prest’ora vedemmo comparire davanti ai nostri reticolati 5 militari austriaci (un caporale e quattro soldati). La nostra vedetta avanzata gli aveva spianato contro il fucile, e questi in dialetto quasi veneziano, alzando le braccia, dissero: “Buono Italiano, veniamo prigionieri”. Allora ilari e contenti, passarono i nostri reticolati ed entrarono nella nostra trincea. Furono circondati da tutti, ci demmo da bere e da mangiare e poi fu un seguito di domande che gli si facevano. Erano tutti della Dalmazia e rispondevano benissimo alle nostre domande in Italiano, rendendoci interessanti chiarimenti». Nel 1917 scrive Luigi: «Se vedesse, Donna Margherita,  quanti prigionieri facciamo in questi giorni. Il Bombardamento, non può immaginare, gli attacchi continui. Si sbalza di continuo».

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Margherita Trotti Bentivoglio Bassi nella casa di Trezzo

Scansando il riserbo, i soldati Trezzesi invocano il fattivo intervento di donna Margherita solo nei casi più gravi di sospetta diserzione, insubordinazione o prigionia presso il nemico. Del resto, Cadorna considera disertore persino chi resti catturato dagli Austriaci, che anticipano di non avere mezzi per sostentare i prigionieri. Ad aggravare la loro sorte, lo Stato Maggiore proibisce inizialmente l’invio dall’Italia di generi per il conforto dei reclusi.

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Giberna italiana, risalente alla Grande Guerra (Raccolta famiglia Bassi – Trezzo)

Informa Ambrogio da Padula, il 23 agosto 1918. «Nobile Signora, perdonerà il disturbo che vengo ad arrecarle ma la sua bontà mi spinge a tanto e con la presente vengo a farla consapevole di quanto segue. Fui dato disertore dal capitano Albino, comandante della Terza Compagnia del Decimo Bersaglieri; motivo: ritardo di due giorni, scaduta la licenza di convalescenza, pur giustificando il ritardo di treni, avendo avuto cura, in ogni stazione di passaggio, di farmi timbrare la licenza dagli ufficiali militari di servizio nelle stazioni. Voglia la Signoria Vostra Illustrissima, giacché tanto buona, interessarsi del mio caso, poiché mi trovo sotto questa imputazione innocente». Donna Margherita scrive al capitano Santangelo, che risponde di aver  brigato per contenere la pena: «Due anni di reclusione. Siamo in tempo di guerra e solo con una disciplina ferma si potrà ottenere di schiacciare i nostri nemici. In condizione dei buoni antecedenti.. il Presidente gli ha accordato di scontare la pena a guerra finita. Ciò lascia supporre anzi della quasi certezza che se Ambrogio conserverà ottima condotta e non darà più motivi a punizioni, non sconterà i due anni dopo la guerra; specie se questa finisce bene, certamente, ci sarà un indulto per questi reati».

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1922 – Inaugurazione del Monumento ai Caduti di Trezzo (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Il 7 luglio 1918 anche Giovanni invoca protezione da una cella di rigore a Firenze. «Egregia Gentile, ci scrivo questa lettera onde per farci sapere qualche cosa del mio destino, che si va molto male finora; martedì è venuto l’ordine di pigliare i vestiti nuovi e anche l’altra roba da cambiarsi per partire per la Francia ed io mi sono rifiutato di vestirmi. Il capitano mi ha messo in prigione e, come mi disse, sono sotto al giudizio: credo che sarà roba di un po’ di mesi ma però, lo so, può essere anche molto perché lui me l’ha messa un po’ brutta. Speriamo sempre in bene. Lei, o Signora, può fare qualche cosa?».

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1918, postale dalla prigionia (Archivio famiglia Bassi – Trezzo)

Nemmeno gli stenti appannano la dignità in cui invece Giovanni racconta la prigionia o Luigi chiede pane dai campi austriaci (4 febbraio 1918): i Kriegsgefangenenlager che il dialetto lombardo chiama «Crista-che-fam-da-ladar» (Cribbio, che fame ladra). Scrive il primo, ormai ricoverato a Monza, il 9 febbraio 1918: «Gentilissima Donna Margherita. Sono a ringraziarla del bene che mi ha fatto: la fame che mi ha levato, in questa terra barbara, in cui le persone sono incivili; ma con la grazia della brava gente, mi sono riuscito a rimpatriare ancora nel nostro bel paese. Vorrei contarci un po’ la mia vita, il bel vivere che ci danno da mangiare in Austria un mestolo d’acqua calda alla mattina, un po’ al mezzogiorno e un’aringa alla sera; un po’ di barbabietole e per il pane, 100 grammi. Come fa a vivere un uomo, così? Poi ci fanno dormire per terra, scalzi, niente per coprirsi, maltrattamenti; pareva Cristo in croce; e lavorare per forza. Insomma, non credevo di portare a casa la pelle».

Da “La Memoria del Viventi – La Grande Guerra a Trezzo sull’Adda” (2015)

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La ricerca condotta sulla corrispondenza del Comitato trezzese coi Trezzesi al fronte è stata consentita e anzi voluta dal Dott. Alessandro Bassi oltre che dal figlio Ing. Lorenzo Bassi, cui sono sinceramente grato. Il Comune di Trezzo sull’Adda e la Biblioteca “Alessandro Manzoni” hanno adottato, ampliato e sostenuto il progetto, consentendo lo spoglio di fonti ulteriori al confronto col carteggio di guerra. Di quest’opera, ringrazio specie la dott.ssa Magda Bettini e l’arch. Gabriele Perlini per lo scrupolo con cui hanno messo mano all’indagine. Ringrazio inoltre il fotografo Mario Donadoni, che ha condotto con me la prima ricognizione fotografica sul fondo corrispondenze di donna Margherita.

4 Responses

  1. Alessandro Pozzi

    Ciao Cristian , come tutte le tue ricerche, molto interessante e dettagliata. Grazie

    • Cristian Bonomi

      Ciao Sandro! Grazie a te della condivisione: tra le altre iniziative, proprio a voi Alpini, Trezzo deve il restauro del lampadario votivo della “Regina Pacis”; un simbolo che fa memoria collettiva della Grande Guerra.

  2. Alessandro Pozzi

    Abbiamo in programma per il 2017 in occasione del 30° di fondazione del Gruppo alpini, una mostra di cimeli di guerra.

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