Peste e colera, clinici e devozioni lungo l’Adda. Quando la scienza ancora tremava alla parola “epidemie”.
Dal capezzale dei nobili alle epidemie di popolo. Giovannolo da Trezzo si chiamava il medico che, nel 1383, Bernabò Visconti inviò a Mantova perché gli curasse la figlia Agnese sposa a Francesco Gonzaga. Trezzo è stata terra di grandi clinici e di epidemie non minori. La pellagra seppelliva per fame tanti contadini che, sul cadere del ‘700, si propose di convertire il castello in ricovero per curarli. Ma a mietere la popolazione erano specie le epidemie.
In 6300 endecasillabi rimati ABBA il poeta trezzese Bettino Uliciani pubblicò con la primavera 1488 una «Letilogia»: il discorso della Morte che tre anni prima aveva percorso Milano, Pavia, Como e Lodi in forma di epidemia pestilenziale «cum l’archo, et cum sagitte venenate».
Di 16 figli, il poeta ne seppellì allora 13. Ma nel 1576 l’ago della morte cercava ancora filo. La peste sotterrò solo in quell’epidemia 551 Trezzesi tra cui la giovane stramazzata davanti a san Carlo Borromeo che le impartiva cresima. E proprio a Trezzo si venera la croce in cui il cardinale santo portò in processione milanese il santo chiodo, invocando la liberazione dal contagio. L’epidemia manzoniana (1629) ridusse il paese a 150 fuochi (famiglie), comprati per 40 lire l’uno dalla nobile Ippolita Fossana Cavenago, che ne divenne feudataria poco oltre.
Trezzo ospitava allora il medico valtellinese Fabrizio Parravicini, fittavolo in casa Valvassori (dietro l’oratorio di san Rocco) per oltre trent’anni. Esercitava qui, dove morì nel 1695 padre di cinque figli, rifiutando la condotta offertagli da Como. Preferì al lago le acque dell’Adda, componendoci due saggi ad argomento medico: «Sulle acque del Màsino» e «L’Abuso dei Medici nel medicare gli Infermi» (1). A Concesa avrebbe poi acquistato l’odierna villa Gina l’archiatra di Napoleone, Pietro Moscati (2). Il che non impedì al colera di fare estive sortite ai Trezzesi. Lo portò tra loro, nel 1836, Pietro Corci da Lecco. Spirò in paese, imitato da altre 43 persone prima che il morbo si placasse entro settembre: grazie alla croce lignea del Borromeo, si disse.
Il medico Giuseppe Cairoli sdraiava i contagiati nella casa colonica offerta in via santa Caterina da Giuseppe Biffi. Nel 1849 Gaetano Ciocca, giunto da una Bergamo già assediata dall’epidemia di colera, ne morì a Trezzo senza propagarlo. Più funesto fu l’anno 1855, ricordato per una violenta piena dell’Adda congiunta al colera che scavò 140 tombe: a Concesa invece sei soltanto, e tutte di bimbi sotto i tre anni. I malati vennero ricoverati nella villa prospiciente l’Adda offerta dal marchese Tiberio Crivelli, l’attuale biblioteca.
(1) – Mazza Italo, Patrizia Ferrario, “Case da nobile in Trezzo e Concesa”, Comune di Trezzo 1999;
(2) – Mazza Italo, “La casa sulla ripa di Concesa” (Trezzo, 2007).
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