Colombo, sabbionai sulle liquide strade dell’Adda

I Colombo «Bilóo» percorrono il fiume con remo sapiente, passando da barcaioli a sabbionai: l’antenato Nicola porta il nome del patrono invocato dai naviganti e la sua discendenza Colombo apre una cava di sabbia sulla riva dell’Adda, tra le altre attività trezzesi.
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I barconi al servizio delle cave (scatto di tardo Ottocento, donato da don Sandro Bassi a Nino Colombo «Bilóo»)

Si voltano chiamati al soprannome «Bilóo» i Colombo che, su via de’ Magri, dividevano un cortile porticato coi Brambilla detti «Galètt». Barcaioli e contadini, i primi spartirono dai secondi che erano pollivendoli, aprendo sulla contrada un portone proprio con sopra la targa assicurativa contro gli incendi del 1884[1]. Chi ci entrava aveva presto negli occhi le stalle coi cavalli battezzati per livrea «Gris», «Moro», «Rusìn». Conducevano loro dalla riva i barconi controcorrente su cui la famiglia curava il trasporto di cose, persone, idee.

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Paolo Colombo «Bilóo»

Solo nel 1908 Pasquale Colombo fu Nicola ebbe quella d’aggiungere «sabbionaio» alla qualifica di «barcajolo»[2], attribuendo specie al figlio Paolo (1866-1948) le due congiunte attività[3]. E il giovane fece l’uguale, coinvolgendo alla patriarcale gestione i sei figli che Ermelinda Chiappa da Villa d’Adda gli generò.

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Angelo Colombo fu Paolo «Bilóo»

Prima di portarla all’altare, Paolo donò una camicia di seta al «murusée», il sensale di matrimonio che gliela aveva presentata. Il loro primogenito Angelo (classe 1888) rincasò dal fronte alla morte in divisa del fratello Gerolamo (classe 1893): diresse il trasporto di materiali altrui; ma anche propri dalla cava acquisita in Val di Porto.

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Gerolamo Colombo fu Paolo «Bilóo», caduto per la Patria nel 1918

Se ne estraevano a badile sabbie due volte setacciate, gera da spargere sulle strade invernali, vene di litta più minuta, ciottoli regolari smossi su carriole e barelle. Quelli irregolari venivano sparsi ad ampliamento dell’alzaia, cesellata appena nella sterpaglia. I «Bilóo» somministravano gli ingredienti all’edilizia del circondario e della città: coi carri e via Martesana.

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La centrale idroelettrica “Taccani”, capolavoro eclettico di Gaetano Moretti (Raccolta Rino Tinelli)

Sull’idroelettrica «Crespi» (poi «Taccani») il barcone ormeggiava alla conca, governata da un’altra famiglia Colombo. Imbarcava il ceppo e la sabbia che innalzarono Milano, le sedie e i pellegrini verso Vaprio per la sagra di san Pietro. Ma contribuì anche al percorso della puddinga che, scalpellata dalla frana capriatese sotto il ponte (1939), scandì le volute sopra la galleria Semenza poco a valle del viadotto autostradale tra Trezzo e Capriate. Dal bacino retrostante la diga trezzese venne allora la sabbia.

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Il barcone dei «Bilóo» (Archivio famiglia Colombo)

E ancora i «Bilóo» trasportarono quella sterrata dall’organizzazione TODT all’attuale quota del primo ristorante sull’Adda in Val di Porto. Lì la squadra tedesca sgombrò una radura per avviare i mezzi cingolati al ponte di barche gettato verso la bergamasca «Cava degli Spagnoli». La sabbia scoperta la estrasse brevemente Giuseppe Bonomi di «Albét» (1888-1968), prossima alla piccola cava argillosa che la sua famiglia aveva offerto per il cantiere del campanile morettiano.

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Il barcone dei «Bilóo», addetto al trasporto passeggeri (Archivio famiglia Colombo)

La vallata porgeva il costato ad ogni genere d’estrazione. Ma il secondogenito Pasquale Giuseppe Colombo detto «Pìn» (classe 1890) preferì impiegarsi alla centrale idroelettrica, che pure aveva a servizio un barcone più piccino di quello familiare. Due volte l’anno, entrambi solcavano in parallelo le rive fluviali, reggendo ciascuno un lembo della catena che estirpava strascinando le alghe dal fondale. Il limo raccolto lo offriva ai contadini perché ne ingrassassero i campi prospicienti. Un altro figlio di Paolo «Bilóo», Carlo, gestiva invece il mulino che la famiglia edificò sul lato destro di via Cavour salvo costruirci nel 1933 la prospiciente casa dell’allora civico 29.

Ci resse inoltre la stazione di monta taurina avviata coi fratelli che, fino alla morte del padre Paolo, sommavano ventiquattro familiari sotto le stesse tegole: Luigi (classe 1900) attendeva alle 100 pertiche di coltivato e Cesare (classe 1901) soccorreva l’urgenza al mulino, in cava, sui campi. D’inverno, costringevano al barcone stoppa tra le assi, rinnovandogli la pece per la liquida strada del fiume.

(Da Ditte e Botteghe del Novecento a Trezzo, ivi 2012)

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[1] Nella dimora storica della famiglia, l’intervista a Nino Colombo «Bilóo» risale al 2 agosto 2011.

[2] Cfr. Scheda Unione. Anche Defendente Barzaghi, barcaiolo della Valverde, si adegua sabbionaio nel 1911: forse per una flessione dei traffici su acqua. Negli stessi anni avviano estrazioni di sabbia Gaetano Monzani di Concesa, poi in società col trezzese Luigi Galli; Virgilio Ciocca della cascina Belvedere; ma anche, dal 1928 per almeno un trentennio, Pietro Motta fu Angelo che cederà l’attività al figlio Eliseo nel 1956 al 5 di via vecchia san Martino (oggi Bazzoni). L’attività ferve 120 giorni per l’anno 1937, quando Colombo ne dichiara invece 75 (cfr. ACT, Censimento fascista delle attività).

[3] Di costui, il fratello Gaetano lasciò orfana la prole, accudita da Carlo «Fratìn»: terzo figlio di Pasquale, così nominato per la devozione alla Madonna di Concesa. Devo questi dettagli alla defunta Anna Colombo.

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