Pietro Marocco ossia dell’Italiano troppo “illustre”

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Pietro Marocco, letterato ed erudito milanese, nasce nel 1807 lungo l’Adda mentre la madre villeggia a Trezzo: promuove una lingua aulica e sorvegliata in odio all’Italiano moderno, in cui Manzoni scrive il suo romanzo

«… torrente

la sventura, e il piacer breve zampillo»

(Pietro Marocco)

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1807, Atto di Battesimo di Pietro Marocco (Archivio Parrocchiale di Trezzo sull’Adda, fondo anagrafico)

Prematuro forse come prematuro in tutto si sarebbe rivelato, il 3 luglio 1807 Pietro Marocco nasce alle 22.00 da Giovannina Polti (figlia di Bernardo): la donna villeggia a Trezzo; e così Pietro nasce trezzese. Il Battesimo lo riceve nella locale parrocchia col nome di Andrea Paolo Pietro sebbene, ad impartirgli il sacramento, chiamino don Carlo Tosi prevosto di Casirate d’Adda. Trezzese può anche darsi sia la sua prima balia; ma casa del neonato resta Milano. Lì, fra gli altri, erano nati i fratellini Bernardo (3 febbraio 1795), Gaetano (17 gennaio 1800) e Maria Elisabetta (sposata a Bortolo Vitali, cui dà due figli: Giovanni Battista e Giuseppe, ragioniere).

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Villa Cavenago in una settecentesca incisione (Pasinetti)

Dal civico milanese di residenza, il 1395 su via della Spiga, la famiglia si sposta a Trezzo solo per la villeggiatura; al punto che, nel 1814, Giovannina Polti si risolve ad acquistare l’ex-Villa Cavenago con tanto di rustiche pertinenze.

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Villa Cavenago

Papà Giuseppe Marocco (nato il 10 luglio 1766 da Giuseppe Antonio e Margherita Rossi) smercia telerie in contrada de’ Moroni 4120 ma soprattutto compravende olio, sapone e vini forestieri in Piazza Fontana, al civico numero 7. Mentre il figlio Gaetano eredita dal padre la giovanile intraprendenza del negoziante, e più tardi il negozio di piazza, che esercita già nel 1830; Pietro Marocco preferisce le cose che stanno scritte nei libri. Il letterato rifinisce precoci odi nel latino di Orazio o nel toscano petrarcheggiante del Trecento; caldeggiando così un purismo alternativo all’italiano moderno.

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Milano, Piazza Fontana

Pietro Marocco è fragile di corporatura e di salute; a Milano perciò ci resta poco. Lo spediscono in convalescenza a Trezzo, dove ha per precettore il prevosto don Andrea Pozzone che gli è anche padrino. Questi, zio del poeta e abate milanese Giuseppe Pozzone, accende nel piccolo Pietro la sensibilità letteraria che già esprime al collegio di Desenzano. Entra nell’istituto a sette anni, per uscirne diplomato.

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L’abate Giuseppe Pozzone

Pietro Marocco studia quindi filosofia a Milano, poi legge a  Padova e Pavia. Che citi i pensatori greci o i giuristi latini, comunque Pietro preferisce esprimersi in poesia: verseggia in occasioni di nozze, lauree, lutti. E pubblica quei carmi a Padova, anche se non hanno la risonanza sperata.

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Un po’ più di successo lo riscuote la «Poetica di Orazio», che Pietro traduce nel 1828. In versi compone anche il «Castello di Binasco, o sia Beatrice Tenda», una novella di tre canti e di settanta pagine stampate a Milano nel 1829. Tre riedizioni ottengono le «Avventure di Clarice Visconti duchessa di Milano», in una prosa aulica e inamidata.

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L’Abate Antonio Cesari
Pietro Marocco, alfiere della prosa antica e dell’antica morale: tra erudizione e pedanteria

Questo stile, manieroso e sorvegliato, Pietro ha la ventura di apprenderlo dall’abate purista Antonio Cesari (1760-1828) di cui prosegue il «Volgarizzamento delle Epistole di Cicerone» incompiuto per la morte dell’abate. Si dedica con quello stile così purgato anche al «Volgarizzamento del “libro de’ costumi e degli offizii dei nobili sopra il giuoco degli scacchi” di frate Jacopo da Cessole», in cui Pietro Marocco annuncia la morte di un letterato e la nascita di un erudito: Pietro Marocco.

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Giuseppe Pozzone e Pietro Marocco si conoscono di certo. Vivono a Milano, due passi uno dall’altro. Eppure, Giuseppe era impulsivo, dal verso spontaneo; Pietro era riflessivo, dal verso formale: il primo pubblica rime su svolazzanti rivistucole; Pietro pulisce invece le note del  «Vocabolario della Crusca». Il che, tuttavia, guadagna un certo prestigio al nome del Marocco: studioso precoce e infaticabile. Quando incornicia anche la laurea in legge, ancora non interrompe i propri studi; dedicandosi anzi al greco, al tedesco, all’inglese.

Pietro Marocco è un alfiere della cultura neoclassica, talora pedante. Non ha ancora guadato, però, due esperienze capitali dell’incipiente romanticismo: il viaggio e l’amore. Il 19 giugno 1830, bacia all’altare Amalia Galletti, di 4 anni più giovane. E parte con lei per un tour della penisola, che si protrae fino al 1832. Soggiornano in Toscana, a Roma e a Napoli. Per Roma, in particolare, Pietro professa una venerazione: la stessa che, prima di partire, l’ha tuffato nella stesura di un poema in versi liberi. «Sciolti su Roma» si intitola appunto e, pubblicato nel 1830, ottiene una seconda edizione già due anni dopo: sempre a Milano.

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Il matrimonio si riverbera anche sulla sua produzione letteraria che partorisce infatti, al rientro dal viaggio, un «Discorso su la convenienza e il buon uso della letteratura per la donna» approfondito per ben ottanta pagine. Stila poi vari altri discorsi, dialoghi e sermoni a sfondo morale. Il che lo consegna al pubblico d’allora come il custode non solo dell’italiano antico, ma anche dell’antica condotta.

Pietro Marocco: le primizie letterarie della sua morte

Dopo il matrimonio, Pietro Marocco scrive sei tragedie, una commedia e qualche novella; oltre ad una cinquantina di favole poetiche, composte mentre diventa papà di due bambine. Traduce anche qualche dialogo di Erasmo da Rotterdam. Con ciò, il suo pare un esordio da scrittore prolifico. Invece, è un congedo. Del resto, qualcosa inquieta nel fatto che, giovane com’è, Pietro lavori a un poema in quattro canti sulla morte: quasi si senta già nelle vene la malattia che avrebbe presto concluso la sua biografia.

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Porta Tosa

Pare si tratti di tubercolosi. Ne spira il 23 maggio 1834 e la morte lo strappa alla famiglia e alla carriera; lasciando vedova Amalia, orfane due piccole ed incompiute altre due creature. Sono un nuovo poema, dal titolo «Milano riedificato» e un’opera filosofica sulle fisionomie; di cui solo il primo capitolo viene pubblicato postumo nel luglio 1834 sul «Raccoglitore italiano e straniero». Le spoglie di Pietro vengono inumate al cimitero milanese di Porta Tosa (poi Vittoria). Lì una lapide così recitava:

ALLA CARA MEMORIA
DI PIETRO MAROCCO
PIENO DI RETTISSIMI COSTVMI E DI SINCERE VIRTV’
IN ANCOR TENERA ETA’ SALITO A BELLA FAMA
FRA I LETTERATI D’ITALIA
PER LODATE OPERE D’INGEGNO
ADDOLORATISSIMO
QVESTO TITOLO POSE
AMALIA GALLETTI
CHE IN QUATTRO ANNI DI CONCORDE CONNUBIO
FECE MADRE DI DVE DOLCISSIME FIGLIVOLETTE
______________
MORI’ NEL BACIO DEL SIGNORE
D’ANNI 27 A’ 23 MAGGIO 1834

La fama di Pietro Marocco cala nella tomba con lui: a risuscitarne il ricordo sono, solo qualche decennio più tardi, le penne di Ignazio Cantù (letterato e patriota come il fratello Cesare Cantù, già direttore dell’Archivio di Stato milanese) e Luigi Ferrario (storico e archivista presso quell’ente). Ma il primo non esenta le scelte stilistiche del giovane letterato da qualche rimbrotto.

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Ignazio Cantù

Trezzo si rammenta allora di Pietro Pietro e gli intitola una strada del rione Valverde, ribattezzando così l’antica contrada dei Molini che si scontra giusto ad incrocio con via Giuseppe Pozzone. E sul fondo della neonata via Marocco la prosperosa matrona, scolpita forse in epoca romana e incistata all’incrocio delle vie, prende da allora il nome popolaresco di «Marocca».

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La “Marocca” nel rione della Valverde trezzese (disegno Goi)

I Marocco mantengono la villa prospiciente l’Adda, intensificandone i soggiorni. La famiglia rileva anche una fornace in zona San Martino, almeno dal 1842. Nel 1867 Giovanni Marocco risulta pure proprietario di due cascine trezzesi: Casinascia oltre alla Casinèta, confine dei giardini ex-Cavenago. Senza contare che Giovannina Marocco fu Bernardo, nipote del letterato Pietro, ottiene persino il titolo di contessa in seguito al matrimonio con Stefano Arnaboldi Gazzaniga (1823-1866). E pensare che Giuseppe Marocco smerciava olio, sapone e vino foresto al civico numero 7 di Piazza Fontana.

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FONTI

– Archivio Storico Civico di Milano, Registri della popolazione attiva e fondo Famiglie;

– Archivio Parrocchiale di Trezzo sull’Adda, fondo anagrafico;

– Ignazio Cantù: «Vicende della Brianza» Milano 1853, vol. II pagg. 294-95;

– C.L.I.O. (Catalogo dei libri italiani dell’Ottocento) Milano 1991, vol. IV;

– Luigi Ferrario: «Trezzo e il suo castello» Milano 1867, pagg. 132-33 e 134;

– Vincenzo Forcella: «Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano» Milano 1892, vol. VI pag. 127;

– «Giornale d’Indizio», 12 dicembre 1815;

– «L’interprete milanese», anni 1817-1823;

– Italo Mazza, «Il fondo Arnaboldi Cazzaniga»;

– «Ricoglitore Italiano e Straniero», luglio 1834.

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