Arpocrate e l’arte del silenzio

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La parola con le labbra mute. Arpocrate, il dio bambino del silenzio, inaugura una simbologia irresistibile per l’arte che ingiunge di tacere ai monaci e ai burocrati. Il silenzio percorre diversamente la reggia e il chiostro, rimarginando le labbra della parola incontinente.
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Beato Angelico, San Pietro Martire ingiunge il silenzio, lunetta, chiostro di Sant’Antonino, convento di San Marco, Museo

Ancestralmente, il tacere è avvertito come gesto virile, adeguato cioè al cacciatore e al pescatore che l’uomo primitivo doveva essere. Alla donna spettava invece il pane sociale della parola, spezzato nel villaggio per comporre rapporti e badare alla prole. Il silenzio è perciò raffigurato al maschile, da Arpocrate in poi, lasciando ad Angerona il tacere che contiene i segreti amorosi o il nome segreto di Roma (Amor per Giovanni Pascoli): l’Urbe sarebbe caduta nella signoria del nemico che l’avesse pronunciato. Costola tratta dal silenzioso costato di Adamo, la donna venne secolarmente accusata d’essere ciarliera. Specie a lei, l’Islam e il Cristianesimo raccomandano la continenza della parola, frenando a somiglianza della Vergine Maria il lamento funebre o la chiacchiera da mercato (Aurelio Agostino, De Virginibus).

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Arpocrate, Gemaldegalerie, Vienna

Nell’arte egizia (anche geroglifica) il signum arpocraticum indica l’età infantile di chi porti l’indice destro alla bocca. Così fa Arpocrate, figlio di Iside e Osiride. Plutarco ne rilegge il gesto a comando del tacere, inaugurando un simbolismo irresistibile. Secondo Pierio Valeriano i latini “recavano scolpita nell’anella la figura di Arpocrate, acciò con quella mostrassero la secretezza de’ lor negotij”. Del pallido Arpocrate, la chiesa romana di santa Maria in Trastevere (XI sec.) conserva venti teste risalenti all’età imperiale, incistate nei capitelli ionici. Ma presso i Romani il tacito dio, che governa sui morti, incoraggia specie al silenzio misterico: diffida cioè l’iniziato dal rivelare quanto appreso durante il rito.

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Beato Angelico, San Pietro Martire che ingiunge il silenzio, Convento di San Marco, Firenze

Sciolto da Arpocrate, il signum arpocraticum acquista autonomia, adeguandosi alle controverse esigenze della fede cristiana, zelante nella predicazione. Il tacere rigetta allora gli incanti del mondo e la sua diabolica seduzione per ascoltare Dio nei silenzi claustrali. Gli ingressi di refettorio, chiostro, dormitorio riferiscono artisticamente i santi Benedetto, Francesco o Pietro Martire mentre impongono ai monaci il gesto che fu di Arpocrate. Chi si lasci aprire la bocca dalle ciarle o dallo stupore consente al Maligno di rapirgli l’anima da quel varco. Già i salmodianti copti della cappella XXVIII di Baouit (Il Cairo, VI sec.) si dispongono con la destra alla preghiera, coprendosi trasversalmente la bocca con l’indice mancino. Echeggiando il salmo 140, gli oranti serrano le labbra alle incursioni del demonio. Orientato diversamente, il signum arpocraticum non proibisce più l’uscita ma l’ingresso. La paganità cede i suoi simboli al Cristianesimo che ne ricalibra il senso.

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Padre Gianluigi Corvi di Santa Teresa, rifondatore del Carmelo a Concesa di Trezzo sull’Adda, fotografia, 1900 ca.

Al giovane Arpocrate succede il santo venerato, sul divieto di parlare all’esterno vince quello di consentire l’entrata per os al Maligno. La composta serenità delle Sacre Conversazioni rafforza il comandamento, offrendo al devoto la visione di un eletto dialogo che ha le labbra rimarginate dal misticismo. Oltre ai rari predicatori affrescati, l’arte di questi secoli apre la bocca solo ai dannati dal Giudizio Universale perché il muto urlo susciti echi angosciosi. Vincere gli slanci della carne, ridurre persino la preghiera a gesto mentale sono le quotidiane battaglie del monaco.

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Il silenzio nel chiostro, Greccio (Rieti)

Tra i santi affrescati che ingiungono il silenzio Laura Del Prà ne elegge uno a mediatore tra l’iconografia monastica e quella laica del tacere. Alla metà del Quattrocento Benozzo Gozzoli incluse il ritratto del maestro di Duns Scoto nei ventitré personaggi dell’ordine serafico, dipinti sulla parete absidale di san Francesco a Montefalco. Agito dal monaco, però, il signum arpocraticum “vuole piuttosto valorizzare la forza speculativa dell’importante Francescano e, a questo fine, viene utilizzato lo stesso motivo iconografico”. Il gesto che fu di Arpocrate è prossimo ad un altro slittamento, questa volta in ambito umanistico.

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Annibale Carracci, Galleria Farnese, dettaglio

Il Quattrocento recupera la figura del dio egizio grazie al ritrovato testo di Plutarco, il De Iside et Osiride, cui Angelo Poliziano dedica un’opera omonima. Pur senza istituire un silenzio laico per contraccolpo da quello cristiano, l’Umanesimo invecchia iconograficamente il giovane Arpocrate nelle posture del sapiente, già care all’arte antica. “Sull’esempio precoce del Petrarca, che accomunava la vita dello studioso alla vita solitaria, e con la traduzione in immagine di questo ideale, impersonato da san Girolamo immerso nel silenzio del suo studio tra libri e materiale scrittorio – continua Del Prà – matura un’interpretazione del gesto dell’indice sulle labbra diversa da quella consegnataci dall’iconografia cristiana”.

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Il Silenzio, Castello di Malpaga (Bg)

Il signum concesso da Arpocrate al santo che indiceva il silenzio viene ora assunto dal saggio, incanutito nella solitudine. Egli personifica un nuovo tacere, esterno al monastero. Nel 1618 Cesare Ripa lo descrive “Homo vecchio, il quale si tenga un dito alle labbra della bocca, et appresso vi sarà un’oca con un sasso in bocca. Perche l’età senile persuade facilmente il silentio, come quella che confida più ne’ meriti, e nella fama acquistata, che nelle parole, si fa il silentio da alcuni di questa età.  L’oca è molto dedita al continuo stridere, et cingottire con molta garrulità, però tenendo il sasso in bocca, c’insegna che non ci trovando noi atti a parlare in modo, che non possiamo acquistare lode, dobbiamo tacere più tosto”. Talora all’oca succede una gru cui la pietra scivola delle zampe, destandola qualora si assopisca.

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Paris Nogari, Allegoria del silenzio vigile, 1582.
Palazzi Vaticani, Sala Vecchia degli Svizzeri (foto Mancini)

La vigilanza è assegnata al silenzio anche nella forma di una lucerna notturna. Ma è Vincenzo Cartari a compiere in questa direzione l’iconografia del silenzio vigile con le Immagini delli dei de gli antichi (Venezia 1556). Tra queste Arpocrate, ormai adulto, ha il corpo cosparso di occhi e orecchie per contrarre la parola quanto dilata l’ascolto, il vedere. Nella Ciropedia già Senofonte attribuiva al sovrano i molti occhi e le molte orecchie che ugualmente Elisabetta I esibisce nel cosiddetto ritratto dell’arcobaleno. Si coagula così la laica soluzione del silenzio, intento al mondo di cui non è più il rifiuto.

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Elisabetta I, The rainbow portrait

Affrancato dalle figurazioni di Arpocrate, il suo autonomo gesto è suscettibile di orientamenti storici diversi: da imposizione misterica, l’indice alla bocca si traduce così in ammonimento claustrale contro il Maligno. Ma l’Umanesimo recupera alla laicità l’interpretazione più antica del signum, riallineando sapienza, vigilanza e segretezza. A questa nuova metamorfosi di senso si incrociano le letture neopitagoriche e neoplatoniche del silenzio. La prima, sostenuta da Pico della Mirandola, ritrova nel tacere l’iniziatico atteggiamento del sapiente raffigurato nel suo studio. A questa visione è controcanto il tacere neoplatonico di Marsilio Ficino: non più esercizio preliminare ma finale ammissione, “la verità essendo ineffabile”. Figura di questo silenzio è l’Ermes seminudo che si ri-vela nel breve momento del rito. Nel Corpus Hermeticus “egli vide il tutto e, avendo visto, comprese e, avendo compreso fu in grado di svelare e mostrare: scrisse quello che aveva conosciuto e, dopo averlo scritto, lo nascose. Preferì infatti tenere un rigoroso silenzio sulla maggior parte di questi misteri piuttosto che rivelarli, perché ogni epoca, venuta alla luce successivamente al cosmo, li cercasse”.

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Il silenzio ermetico da Bocchius, Symbolicarum questionum libri quinque, 1555

Delle due iconografie (l’anziano ed Ermes) la prima, ricalcando l’immagine del sapiente antico, viene eletta a promuovere la virtù del silenzio nei luoghi di governo. Tacere è segno di partecipazione al potere, che commissiona figurazioni del silenzio entro i propri spazi. Al Palazzo Pubblico bolognese, la Sala da pranzo degli Anziani aveva il camino ornato dal silenzio personificato nel 1569 accanto alla vigilanza: “viene ricordato ai frequentatori di tale ambiente che la tutela della res publica è connessa direttamente alla riservatezza dei suoi governanti”. Ugualmente, all’interno del Palazzo Vaticano, la Sala Vecchia degli Svizzeri rammenta in immagine il silere a quanti veglino sul pontefice. Affianca il tacere, definitivamente barbuto e vegliardo, una gru che reca il sasso nel becco. Da spirituale che era, la virtù accede alla laica condotta dei governanti, confermandosi però alta rispetto al popolino vociante per le piazze.

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Giovanni da San Giovanni, Cristo servito dagli angeli, dettaglio

La fortuna iconografica del signum arpocraticum ne varrà la consunzione simbolica. Adottato in contesti figurativi prima estranei, specie nel Seicento, diventa infatti l’ornamentale gesto di un putto che raccomanda di non interrompere la scena dipinta. È il caso del Cristo servito dagli Angeli (1629) eseguito da Giovanni da san Giovanni nel Refettorio della Badia Fiesolana presso Firenze. L’anzianità e il dito alla bocca fecero convergere il silenzio verso la figura di Cronos e persino verso quella femminile della Morte. Si pensi al Silenzio di Johann Heinrich Fussli (1741-1825).

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Johann Heinrich Fussli, Il Silenzio

L’arte funeraria colonizza infine il signum arpocraticum, ormai orfano di ogni intensità iconografica. Talora formulato in figure muliebri o ambiguamente velate, raccomanda che i vivi tacciano davanti al pur indisturbato silenzio dei morti. “Con ciò il dito, portato alle labbra dalle dolenti figure scolpite sui sepolcri, segna una fase di eclissi di un simbolismo in altri tempi ben più complesso”. Il tacere si dispone così come attributo escatologico della Notte o della Morte, prima e dopo la parola e il parlante.

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Donato Carabelli, Statua di silenzio velato, inizio sec. XIX. Lainate, Villa Litta

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Per approfondire

Su questo sito: Silenzio, il centro vuoto su cui ruota la parola;

Laura Del Prà Il gesto del silenzio nell’arte figurativa, in AA.VV., Le forme del silenzio e della parola, atti del convegno tenuto a Trento nell’ottobre 1987, a cura di Massimo Baldini e Silvano Zucal, Brescia 1989;

Ernesto de Martino, Morte e pianto rituale del mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria, Torino 1958;

Roberto ManciniI guardiani della voce: lo statuto della parola e del silenzio nell’Occidente medievale e moderno, Roma 2002;

Roberto ManciniLa lingua degli dei: il silenzio dall’antichità al Rinascimento, Costabissara 2008;

Cesare Ripa, Nova Iconologia, Padova 1618. Edizione a cura di Piero Buscaroli, Torino 1986.

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