Poeta in toga, sentenze in versi. Luigi Medici si forma alla pittura e alla rima in una Milano che ancora parla dialetto: tra osterie e cortili, artisti di corte e di strada.
77 anni dividono la nascita milanese di Luigi Medici, poeta avvocato e professore, dalla sua tomba a Trezzo sull’Adda (1965). Con in bocca una pipa di radica, papà Vincenzo amministrava a Vaprio d’Adda i beni del duca Lodovico Melzi d’Eril. Ogni tanto mamma Teresa Crespi suonava il pianoforte, ricordando la volta che partecipò alla prima esecuzione del Requiem verdiano.
Di zio Giacomo Medici, il poeta Luigi ricorda che era ingegnere tanto esuberante da innestare a Milano una piantagione d’ananas. Dall’omonimo zio pittore, allievo di Hayez, Luigi ereditò invece il nome insieme ai pennelli. Era artista. Componeva versi dialettali già alla morte del padre, che mise in sonetto (1905).
Tralasciando Medicina, si laureò in Legge a Pavia. Mentre indossava occhiali da avvocato, tra gli studi Porro e Foà, pubblicò le prime liriche meneghine sotto pseudonimo di Luisin Bongee. Ebbe per cliente Gabriele D’Annunzio. Nel 1916 scambiava fede nuziale a Torino con Felicita Maria d’Incisa di Camerana, incrociata la prima volta al Sacro Monte di Varallo. La abbracciò tornando dalla Grande Guerra con la divisa di fante semplice. Luigi si laureò in Filosofia (1920) presso l’Accademia Scientifico-Letteraria di Brera, conseguendo poi il diploma di magistero che per dieci anni gli consentì l’insegnamento nei licei milanesi «Manzoni» e «Dante».
Nel 1923 costruì quella Ciosetta Vincenzina, villeggiatura trezzese, dove rileggeva a bassa voce le sue poesie: «In soree», «Acqua Nostrana», «Terra Briantea», «I fioeu de Carlo Codega», «Vus de Caserma», «Lunaria», «L’ultima cavalcada de Bernabò». Ma anche articoli per il «Corriere della Sera» e gustose prose come «Memorie in toga» (i più esuberanti casi dell’avvocato), «Incontri di anime» (con personaggi mai in realtà conosciuti se non culturalmente) o la biografia del milanese Anselmo Rocchetti, che cucì gli stivali a Napoleone. Difese il dialetto durante il Fascismo, sul cui cadere si rifugiò dai rastrellamenti in casa Melzi a Vaprio.
Ripiantò l’albero che un uragano aveva divelto alla cima della torre del castello di Trezzo. Nel 1935 viaggiò in Europa e studiò le vicende di casa Medici, raccontandole con «Una famiglia dell’Ottocento lombardo».
Dal lutto della moglie Felicita si rialzò, nel 1959, dipingendo un pannello di rose che ancora le copre il marmo sepolcrale. Itala Ceserani sorresse Luigi nell’ultima vecchiaia mentre questi donava al comune trezzese la proprietà su cui costruire un ospizio per anziani. Sorse invece la caserma dei Carabinieri nella via che ancora porta il cognome «Medici».
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