Prima che le dighe la addomesticassero, l’Adda prese con sé barche e annegati nelle sue azzurre tombe. Era l’8 luglio 1792 quando un devoto gruppo di pellegrini naufragò tra Trezzo e Cerro di Bottanuco.
L’Adda dà, l’Adda toglie. Ai risguardi del «Liber Defunctorum» parrocchiale don Carlo Giuseppe Meazza, prevosto trezzese, incollò nel 1792 il racconto di un naufragio. Era l’8 luglio, giorno che il calendario dedicava a Sant’Elisabetta del Portogallo. Un pio drappello di trezzesi la confuse con l’omonima cugina che la Madonna visita nel vangelo di Luca, e partì per Cerro (Bottanuco) dove era stata da poco edificata una chiesa: Santa Maria della Visitazione appunto. A guidare il pellegrinaggio era don Lorenzo Rossi, cappellano in San Rocco trezzese, che s’era accompagnato la cognata e il nipotino Ferdinando. Dopo la liturgia diciassette trezzesi scelsero il ritorno via Adda: e montarono tutti su «un vecchio e sdruscito barchettino» che affondò non appena scivolato nel gonfio del fiume.
«Un solo salvassi a nuoto – nota don Meazza – e fu Giuseppe Bonomi». L’Adda non perdonò che questo ventisettenne perché recasse in paese l’infausta notizia. Era annegato don Rossi, sua cognata e persino il piccolo Ferdinando, che ripescarono a Rivolta. Arrivò fin là anche la salma di Giuseppe Barzaghi, calzolaio come Pietro Nava, ritrovato a Canonica insieme alla moglie Maria Arlati. La corrente doveva essere turbinosa se non scampò neppure Giuseppe Pirola, giovane pescatore di cascina Rocca. A Trezzo il fiume restituì cadavere Domenico Moggi, «salsamentano» (salumiere). Affogò anche Paolo Galimberti, figlio del fattore di casa Bianchi, e Antonio Galliani «piggente della casa Bassi». Avevano 16 anni Luigi Colombo detto «Ghirlone» e Giuseppe Pozzi detto «Gabrièl». Certo sapevano dove fosse a Trezzo «il pozzo di Lozza» presso cui abitava Angelo Andreoli, maestro di muro annegato con loro.
La tragica notizia si propagò fino a Milano, da cui già l’indomani il Card. Filippo Visconti scriveva al prevosto trezzese. «Mi ha sommamente funestato la lagrimevole disgrazia accaduta a sedici persone di codesto suo Popolo – esordisce il porporato in una lettera datata 9 luglio 1792 – Misuro dalla grave sensazione ch’essa ha fatto nell’animo mio, l’afflizione che avrà inondato amaramente il di lei cuore. Adoriamo i decreti incomprensibili dell’Altissimo, che visita co’ flagelli repentinamente or questa, or quell’altra popolazione onde siano temuti i suoi giudizi terribili». Alla Trezzo che blandiva, il fiume aveva insegnato la propria forza.
Eppure i contadini di cascina San Benedetto s’abituarono a seguire la messa domenicale proprio in Santa Maria della Visitazione, parrocchia più vicina che quella trezzese. Traversavano il fiume in barca fino a «Cava da Sèr», la spiaggia di Cerro, per poi salire in paese: forse ricalcando gli stessi passi contati dai pellegrini del 1792. «Non mancherò certamente di porger fervorose preghiere per le anime degli annegati – continua il Card. Visconti – de’ quali non è inverosimile che alcuno faccia capo al Tombone di San Marco, trasportato fin lì dalla corrente del naviglio». Così non fu. Dei sedici poveretti certi non furono più ritrovati, inghiottiti dalle azzurre tombe del fiume.
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