Pettegolezzo, arte dell’infamia e storia dell’asino

Contro il pettegolezzo dalla lingua biforcuta, la “Storia dell’Asino” ripete la sua saggia favola dai portici della parrocchia trezzese e del santuario di Imbersago, alla Madonna del Bosco. Dal primo sagrato, i versi a commento vengono ripresi sullo stemma personale di chi volle l’opera: mons. Giuseppe Grisetti. Con araldica ironia, il sacerdote riferisce in un dialetto, scandito come fosse il più oscuro idioma: «Apret End Dekont Entat Uttal Agent-Sek Rep Adef Adigas Enzacavann Yent»; nel tentativo di accontentare tutti, si crepa di fatica senza cavare alcun vantaggio.

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L’ironico stemma di mons. Giuseppe Grisetti (Raccolta Rino Tinelli)

Anche se a bassa voce, il pettegolezzo è la letteratura a più alto gradimento. L’abate poeta Giuseppe Pozzone, figlio di barcaioli trezzesi, sciolse alcuni versi nel 1828 sull’ingresso in parrocchia del nuovo prevosto don Giovanni Martinenghi. Le rime rassicurano il novello parroco: quante maldicenze corrono sul conto del predecessore don Andrea Pozzone, zio dell’autore, sono solo il pettegolezzo “che tinse i fiori / di bave serpentine“.

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(Raccolta Rino Tinelli)

Ancora all’ombra del campanile trezzese, nella malattia che lo debilita (un cancro allo stomaco), mons. Giuseppe Grisetti viene riferito da certi mormorii come il “sach d’oss“, alludendo persino alla presunta illegittimità della sua nascita. Sua parrocchiana, Bambina Minelli viene ripescata a Vaprio d’Adda dal naviglio Martesana nel gennaio 1928. L’ipotesi più accreditata è che, annegando, la ragazza abbia cercato scampo in acqua alle minacce di un bruto. Malgrado gli inquirenti archivino il caso come un suicidio poco ortodosso, per via delle trecce che la ragazza pare si recidesse prima di tuffarsi nel canale, la popolazione addita almeno due candidati colpevoli. Entrambi finiscono suicidi, esasperati dall’indice paesano e dal pettegolezzo che li riguarda. Eppure, la loro morte non è meno innocente che quella di Bambina.

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(Raccolta Rino Tinelli)

Poco oltre, nel 1933, Giuseppe Grisetti inaugura il nuovo sagrato a compimento dei restauri della chiesa parrocchiale, curati da Gaetano Moretti e dal genero Ambrogio Annoni. All’ombra del portico perimetrale, la “Storia dell’Asino”, eseguita in graffito da Archimede Albertazzi, insegna a ignorare la maldicenza come “ragli d’asino che non giungono in cielo”. Dell’opera, ha dato moderna interpretazione anche l’artista Silvana Maggioni. Presso la civica biblioteca di Trezzo “Alessandro Manzoni”, gli studenti della scuola d’Italiano A.P.R.I.T.I. hanno inoltre tradotto la dialettale “Storia dell’Asino” in Pakistano, Arabo e Russo, rinvenendo singolari analogie con le fiabe della loro terra d’origine. Dei graffiti sul sagrato parrocchiale, il fascicolo contiene le riproduzioni a disegno, firmate da Riccardo Lecchi.

Temere i pettegolezzi è ancora più peccato che bisbigliarli. Pare questa la morale che la “Storia dell’Asino” non smette di insegnare dal portico dove mons. Giuseppe Grisetti la volle raffigurata nei sei graffiti di cui Luigi Medici fornì le didascalie in milanese. La vicenda, semplice ma efficace, è l’ironica riflessione che su se stessa farebbe una qualsiasi piccola società: cortili, mercato, ombre di campanili abitati dal mormorio. La fiaba, che La Fontaine raccontò nel suo secentesco francese, risale almeno alla versione di Esopo ed è anticamente raccontata in tutto il Mediterraneo.

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(Raccolta Rino Tinelli)
Il pettegolezzo e la chiacchiera al galoppo: la “Storia dell’Asino”

La tipografia Buontempi di Trezzo riprese la favola in sei litografie, datate 1904 e ritrovate da Rino Tinelli, raccoglitore di trezzesità. Ad esse si ispirò l’architetto Albertazzi, quando Grisetti gliene affidò la trascrizione sui graffiti davanti al sagrato paesano. Era il 1933. «E 1904/1933 sono le date che appunto compaiono sul paracarro del terzo quadro realizzato dall’artista – nota Tinelli – quasi a citare, oltre al mandato pastorale del Grisetti, la precedente serie di litografie a ispirazione del ciclo».

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(Raccolta Rino Tinelli)

Ma non è tutto. Al 1905 risale una serie di cartoline postali recuperate dal collezionista e comprensive di una settima inedita immagine, contro le sei in cui la favole è solita esaurirsi. «In essa il padre, stanco delle malignità che lo assordano, si tura le orecchie per non impazzirne mentre il figlio deride i pettegoli – spiega Rino – perdipiù la stessa vicenda, benché intitolata “Storia del Mugnaio”, venne effigiata anche sulle figurine “Liebig”, nel 1932». Una storia mai vecchia, insomma, che viene ripresa anche al portico del santuario alla Madonna del Bosco di Imbersago; proprio dove le comitive di pellegrini rischiano di indulgere nel pettegolezzo.

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(Raccolta Rino Tinelli)

Rincasando dal mercato dove hanno acquistato un asino, papà e figlio (che camminano) vengono accusati di non montarci. Lo fa allora il padre, che una nuova chiacchiera dice snaturato per lasciare a piedi il figlio. Questi sale allora al posto suo. Ma neppure ciò soddisfa gli spettatori sotto ai cui occhi i due risolvono di cavalcare insieme l’animale; e infine di portarlo a spalle penzolante da una trave. Seguire i pareri di tutti li ha quasi condotti a follia. Se ne salvano solo liberando l’animale «simbolo del popolo utile paziente e bastonato».

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