Censo, il Settecento in tasca ai Trezzesi

Censo, ristori fiscali, diritti di pesca e mulino: l’economia settecentesca nel caso di Trezzo
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1762, Veduta di Trezzo da tramontana, disegno a inchiostro eseguito da Pasinetti (Raccolta Rino Tinelli)

Censo lungo l’Adda. Nel 1770 i Trezzesi sono 1753, di cui 822 donne adulte. Abitano nelle 109 case del paese o nelle 14 sparse in campagna, frequentando devotamente 10 luoghi di culto officiati, tra cui la centrale chiesa di San Bartolomeo e quella periferica dei Morti di San Bernardo. Degli uomini a censo in età superiore ai 14 anni, 5 sono esenti dalla tassa personale perché una malattia (fistole, oftalmia..) impedisce loro di lavorare. Diciottenne nel 1799, il benestante Giovanni Acquanio lamenta fin da bimbo «un’impetigine universale, che da capo lo copriva infino ai piedi, rendendolo deforme al pari di un vero lebbroso». Il suo censo è buono ma non la sua salute. Come Francesco Kalman negli anni precedenti, Andrea Puricelli è medico chirurgo a Trezzo nel 1782, quando concorre per la condotta di Pozzo d’Adda assegnata però a Paolo Pezzoli, che esercita a Vaprio approvato solo dal collegio dei barbieri milanesi. Nel 1768 il largo lascito testamentario di Agostino Nazari, prevosto per 45 anni, devolve una cifra per i medicinali agli ammalati poveri: li distribuisce un farmacista, eletto dalla fabbriceria parrocchiale. Ancora nel 1868, il banco speziale di Trezzo è gestito da Celestino Masnini (nativo di Stradella) al civico 114 del rione Valverde, proprietà Bassi. Pericle Perego Palatee gli succede nella licenza, traslocando l’attività più in paese, dove nel 1888 la rileva Ferdinando Fodera.

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1762, Veduta di Trezzo da Mezzogiorno, disegno a inchiostro eseguito da Pasinetti (Raccolta Rino Tinelli)

L’annua tassa riscossa tra i Trezzesi abili paga medico, chirurgo e maestro al servizio della comunità. Per antica consuetudine, i residenti al Castello non versano questa tassa né si avvalgono delle tre figure stipendiate. Giovanni Battista Nava, oste nel maniero dal 1757 al 1778, affida tuttavia i figli alle scuole paesane; almeno finché non viene fiscalmente contestasto. Sulle vie del borgo, affacciano 1 macellaio, 1 oste, 1 fabbricante di cera, 1 fornaio, 1 ramaio, 3 postari (negozianti), 7 mercanti; i fratelli Mariani tengono fornace poco fuori. Giacinto Galimberti, fattore di casa Bianchi, inaugura l’elenco dei maschi adulti, che riferisce alcuni soprannomi di famiglie trezzesi. Giunti da Brembate entro il 1629, gli Albani si distinguono in Dossino e Rinaldini: questi ultimi smettono anzi il cognome in favore del nomignolo. I Barzaghi si dividono in Orsolino, Spolvara, Sancino (soprannome ottocentesco dei Crippa da Concesa): il documento censisce le varianti Sancinone e Sancino il Pelato. Gli esposti dell’Ospedale Maggiore di Milano diffondono anche in paese il cognome Colombo, scandito dai soprannomi: Gesuito, Ghirlone e Fort, ancora pronunciati nel Novecento trezzese; Menego, Aquilino, Bettino e Ventura (poi Sutramort), che citano il nome del trovatello capostipite; Polentino; Cogliati e Ghinzano, cognomi forse delle famiglie adottive. Il ruolo del 1770 nomina inoltre Crippa detti Vanghetto, Fumagalli Nibiziotto, Lecchi Capitano, Margutti Tatto, Mariani Venturino, Mazza Ronco e Perino, Mercandalli Bertolino, Minelli Imperatore, Pozzi Mariotto, Lodigiano, Vidone o Pipino; infine, Scotti nominati Bassano, Caroia, Serpetto e Piccone.

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1762, Veduta di Trezzo da ponente, disegno a inchiostro eseguito da Pasinetti (Raccolta Rino Tinelli)

Dal 1740, donna Maria Cazzola-Muggiasca acquista quattro delle cinque ruote da mulino al vecchio incile del naviglio Martesana: chiusone di cui sopravvive oggi la sola prua in muratura a valle del ponte per Capriate. Appartiene invece a don Antonio Mozzoni-Frasconi la quinta macina, cui altre se ne affiancano fino alle otto censite nel 1854 presso un unico edificio. I proprietari dei mulini, tra cui fino al 1839 i barcaioli Pozzone, sono chiamati a sostenere per metà i costi di manutenzione sulle chiuse; essendo l’altra parte a carico della Regia Camera. Corretta in crescita, però, la portata del canale usura talmente gli argini da rendere intollerabile la spesa. Nel 1770 non è di minori pretese il Comandante del Castello che, per tradizione, avoca a sé i diritti di pesca tra Cascina Belvedere e il traghetto sotto le rive del porto (appena a Nord del ponte attuale). Gli vengono perciò corrisposti ogni anno un filippo d’argento e un piatto di pesce fino sia per Natale sia per i primi di agosto. Solo alle morti di Comandante, prevosto e feudatario Cavenago è accordato il privilegio di rintoccare l’agonia anche col quarto bronzo del campanile parrocchiale; invece dei consueti tre. Tuttavia, nel 1766 il nobile Carlo Bianchi invia tre suoi uomini in livrea (Scotti, Bonomi padre e figlio) perché suonino tutte le campane ai funerali del padre Giuseppe; non senza suscitare reclami su quell’abuso. Nel 1721, la squilla principale del Castello è rotta; nel 1779 il campanile parrocchiale ha civico orologio inceppato e quadrante sbiadito. Perdipiù, lo stesso anno, l’equipaggio di paron Battiloca lascia insepolto lungo l’Adda un cavallo stramazzato durante la navigazione a traino controcorrente; addossando alla Comunità le spese per il seppellimento.

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Alessandro Trotti Bentivoglio, l’Adda all’incile del Martesana (1870 ca.)

Benché nel 1784 goda un prestito governativo per promuovere la filatura nelle campagne, Trezzo resta largamente rurale. Il 13 maggio 1626 e il 23 luglio 1643 specie i vigneti soffrono una tale grandine che il paese invoca un ristoro fiscale su quelle annate. Allo stesso scopo un settecentesco memoriale dettaglia il disagio economico di Trezzo: «Quivi circoscritta dal fiume, non ricava che l’infausta qualità di essere terra di confine esposta ad ogni moto di guerra». Il documento lamenta assoluta penuria di pascoli; grasse nebbie e terre magre, che consentono un solo raccolto di grano all’anno; gelsi malati alla radice. Da fine giugno, la carruga (Anomala vitis) intacca le vigne, tradizionalmente di poco frutto se un adagio locale sentenzia «entrata di vino, entrata da meschino». Infine, una frana in Adda guasta navigazione e fluitazione dei legnami disboscati sulla riva.

Fonti. AscMi, Famiglie, 3; AsMi, Atti di Governo, Censo Parte Antica, 1800 (Pozzo), 2110 e 2111 (Trezzo); Catasto, 1851bis e 9245; Notarile, Atti, 3400; Notarile, Notai Ultimi Versamenti, 317; Petizioni Trasporto Estimo, 1830; Cfr. Ferrario, Beneficienze. Le vedute del borgo trezzese, eseguite a disegno da Pasinetti nel 1762, sono dalla Raccolta Rino Tinelli, che ringrazio.

Dal trimestrale La città di Trezzo sull’Adda – Notizie, 2018, III

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