Esposti, figli illegittimi o della povertà? Simboli spezzati in due parti per consentire il ricongiungimento coi genitori naturali e usi di civica carità a vantaggio dei trovatelli milanesi. I cognomi, da Colombo alle iniziali assonanti. Gli archivi del befotrofio cittadino restituiscono così la secolare vicenda di queste nascite così negate.
Il nome del padre
Dello stesso cognome Colombo, il dialetto trezzese distingue per nomignolo almeno 30 diverse famiglie. Discendono dai trovatelli accuditi presso l’Ospedale Maggiore di Milano. All’ente, che nel 1456 riunisce vari ricoveri cittadini, la duchessa Bianca Maria Visconti offre il proprio stemma: una colomba bianca, sotto la cui ala gli esposti ricevono quel cognome fino al 1825. L’Ospedale assume la paternità dei trovatelli Colombo, essendo istituto tanto ricco nel Settecento da possedere solo a Trezzo 15 fondi per oltre 226 pertiche tra boschi, orti e campi; il più vasto in zona San Martino.
Gli esposti milanesi sono spesso figli legittimi di famiglie costrette dalla povertà all’abbandono temporaneo. Eppure godono la rispettabilità dell’Ospedale, finché l’Ottocento non impone controlli anagrafici più stringenti, che emarginano il trovatello come elemento disturbante. Per evitare omonimie, il cognome Colombo viene sospeso: dal 1825 al 1906 ogni bimbo ne ottiene uno inventato, la cui iniziale sia assonante a quella del nome, spesso scelto per iscritto dai genitori naturali. Ricevono questo battesimo i Trezzesi d’adozione Giovanni Giuzzi (1862-1931), Ferdinando Fodera (1864-1943), Stanislao Stembri (1885-1969) e Angelo Angelici (1890-1956).
Gli Esposti, i figli della città
Secondo l’uso antico dell’Ospedale, la partoriente confida il nome del seduttore; e questa confidenza basta per costringere l’uomo a mantenere il figlio, legittimo o meno, come ordina il diritto civile e canonico. Supplicato dall’ente milanese, papa Sisto IV emana una bolla di scomunica (1475) contro quanti abbandonino la prole, pur avendo i mezzi per sostentarla: a tali genitori, i confessori negano l’assoluzione. Prima di gravare l’Ospedale di un nuovo esposto, il Ricettore ha l’incarico di scoprirne il padre perché questi provveda al mantenimento.
L’ente tenta così di contenere l’ingresso dei trovatelli che, dal Settecento, lievita fino a 5876 per il solo anno 1865. Ragioni diverse motivano l’aumento: economiche come la povertà rurale o il lavoro senza sosta delle madri in fabbrica; ma anche sociali. Viene infatti derubricata la promessa del seduttore in abuso carnale. Si sanzionano i matrimoni segreti come quello tentato da Renzo e Lucia nei «Promessi Sposi», per combinare l’unione senza le dovute pubblicazioni. Infine, la legislazione unitaria non ammette più indagini circa la paternità dell’esposto. Alleggerendo la responsabilità dell’uomo, si aggrava così quella delle madri.
Le madri velate degli Esposti
Nel 1780 il governo austriaco trasloca l’ospizio delle partorienti dall’Ospedale Maggiore (l’odierna Università degli Studi) in Santa Caterina alla Ruota: edificio disegnato dalle vie Sforza, San Barnaba e Commenda. Ne è ostetrico Pietro Moscati, proprietario a Concesa dell’oggi villa Gina (come ampliamente documentato dallo studio di Italo Mazza). Entrando, certune a volto coperto, le partorienti porgono denaro o patenti di povertà.
Dopo una confessione sacramentale, accedono al chiostro dove il parlatorio è sorvegliato, ascetica ogni lettura. Il loro nome viene talora sigillato in una busta, aperta in caso di morte e altrimenti distrutta. Dopo il parto, le puerpere si trattengono come nutrici sedentarie e retribuite per 6 mesi, allattando i bimbi esposti; a meno che ritirino il proprio o versino una tassa. Solo dal 1892 si offre il massimo salario di balia interna (15 Lire) alla madre nubile che allevi il proprio nato, anche con riserva di abbandonarlo entro i 7 anni d’età.
La titolazone di Santa Caterina alla Ruota cita quella dentata, cui la vergine scampa miracolosamente; allude però anche al torno: un cilindro a due sportelli girevole, in cui gli esposti vengono abbandonati fino al 1868. È la scelta estrema, quella più anonima. Qui alle 4.15 del 27 dicembre 1862 Giovanni Giuzzi viene trovato con mezza carta da gioco nella fascia: 7 o 8 di cuori. Qui alle 6.00 del 13 giugno 1864 Ferdinando Fodera viene trovato con una cuffia guarnita in pizzo e il mezzo santino che reca un versetto di San Paolo. Dei due contrassegni, l’altra metà rimane in mano al genitore naturale, per remota promessa di ricongiungimento.
La culla vuota
Dal 1890, Santa Caterina accoglie solo partorienti illegittime o dichiarate tali da levatrici compiacenti. La città «sregolata» ha generato quei figli, inviati per contraccolpo in una campagna di presunta salubrità fisica e morale. Qui, le madri contadine cui muoia un neonato si candidano all’Ospedale Maggiore quali balie da latte mercenarie. Rachele Rancio svezza così Giovanni Giuzzi a Cascina Figina mentre Angela Mauri allatta Ferdinando Fodera a Cascina Rocca. Stanislao Stembri è cullato a Cambiago, da Zita Tresoldi: ma pronunciando la parola «mamma», penserà sempre a Maria Albani, la Trezzese che lo tiene con sé dopo lo svezzamento.
Dal 1869 l’istituto propone in denaro un premio di istruzione e buon allevamento, assegnato alla famiglia adottiva e all’adottato, se questi inoltra adeguato saggio di scrittura. I trovatelli trezzesi lo conseguono, impugnando il pennino davanti a parroco e sindaco. Ferdinando matura anzi gli studi al seminario arcivescovile di Brà, laureandosi farmacista nel 1888. Tiene il bancone di speziale su piazza Libertà. Qui affaccia anche la tessitura Castellini, dove l’esposto milanese Angelo Angelici diventa dirigente. Intanto, il sergente Stembri si distingue nella Grande Guerra. Da una nascita così negata, gli esposti si affermano socialmente, lasciando larga discendenza dietro di sé.
Dal periodico “La Città di Trezzo sull’Adda – Notizie“, n. 4, dicembre 2015
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Per approfondire:
AAVV, Si consegna questo figlio, Ginevra-Milano 2008; Cristian Bonomi, Sergio Confalone, Italo Mazza, Ditte e botteghe del Novecento a Trezzo sull’Adda, Trezzo 2012; Cesare Giuzzi, I Giuzzi, una storia di tre secoli, Belgioioso 2001; Italo Mazza, La casa sulla ripa di Concesa dai Pozzi da Perego ai Bassi di Milano, Trezzo 2007.
Ringrazio Paolo Grassi per le ricerche presso l’Archivio Storico del Brefotrofio Provinciale di Milano; Michael Angelici, Claudio Fodera e Rita Stembri per le condivise memorie di famiglia.
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2 Responses
Ettore Larsoli
Buongiorno , sto facendo una ricerca riguardo “l’Ospizio Provinciale degli esposti delle partorienti in Milano” luogo in cui nacque il nonno del sottoscritto. Per cortesia , mi servirebbe sapere dove si trova oggi qsto edificio (indirizzo) e come si chiama. Ringraziando per l’attenzione prestatami , nell’attesa di un cortese riscontro, porgo distinti saluti. Ettore Larsoli.
Cristian Bonomi
Buonasera. L’ex-brefotrofio di Milano è sito al civico 60 di viale Piceno. Le consiglio questa lettura in argomento: http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/soggetti-produttori/ente/MIDB001712/ .