Cristoforo Benigno Crespi, il fondatore della centrale “Alessandro Taccani” di Trezzo sull’Adda. La sua biografia in “Fabbrica di Luce” di Cristian Bonomi (testi e ricerca), Mario Donadoni (foto moderne, grafica) e Rino Tinelli (foto d’epoca).
Busto Arsizio è in provincia di Milano quando Cristoforo Benigno Crespi (1833-1920) ci nasce, figlio di Antonio e Maria Provasoli. Papà ha rilanciato a Lodi e oltre il Lombardo-Veneto la lavorazione bustocca in cotoni, che nonno Benigno affidava al domicilio degli lavoranti.
Cristoforo affronta gli studi liceali al seminario rosminiano di San Pietro in Severo (MB), tralasciando poi la facoltà pavese di Giurisprudenza. Si diploma però ragioniere, impiegandosi in banca e poi presso la ditta milanese del compaesano Francesco Turati. Congeda l’incarico nel 1863, pare al rifiuto di un aumento sullo stipendio, affacciandosi proficuamente in proprio alla tratta di cotoni grezzi. Convince il padre a prendere in affitto, lungo l’Adda di Vaprio, la filatura Archinto che soffre la carestia dei cotoni conseguente alla Guerra civile americana. Ma il duca Raimondo Visconti di Modrone ne acquista l’edificio, ceduto all’asta dai creditori prima che Crespi metta mano al rinnovo. Gli riesce nell’ex-cartiera di Vigevano (1867) e alla filanda di Ghemme (1869) dove, affiancato dai fratelli, impianta movimenti idromeccanici.
Sotto l’insegna familiare «Benigno Crespi», che lui soltanto eredita, Cristoforo fonda infine un intero villaggio industriale. Dal 1877 cadenza alloggi e servizi attorno al cuore pulsante del cotonificio in Crespi d’Adda, patrimonio Unesco dal 1995. La via principale apre il borgo in due ali. Produttiva lungo il fiume con la corsa dei capannoni; residenziale a Est, quella fornita di servizi: il dopolavoro «Uniti e forti», la chiesa bramantesca, le scuole, la cooperativa, l’ambulatorio, i bagni pubblici. Qui l’aggregazione trasforma gli operai in cittadini, il posto di lavoro in terra d’appartenenza. Per i contadini convertiti all’industria, Crespi costruisce villini efficienti e disciplinati, come i lavoratori che li abiteranno.
La strada maestra prosegue verso il cimitero, dove il mausoleo Crespi stringe a sé le tombe gratuitamente offerte agli operai: «forte e instancabile lavoratore» si legge sul marmo definitivo delle sepolture. Con minuta calligrafia Cristoforo appunta sui suoi taccuini gli enormi prestiti utili all’impresa. Incanutisce in poche notti al timore che le sorgive impediscano lo scavo del canale derivatore dall’Adda alla prima centrale idromeccanica: funi di canapa ne trasmettono il movimento direttamente in filanda, finché non rende idroelettrico il presidio. Porta il nome dell’azienda Crespi anche la centrale sull’Adda di Trezzo (oggi «Alessandro Taccani»), inaugurata nel 1906 dopo quindici anni tra chiarimenti tecnici e oscure burocrazie. Cristoforo giunge così in cima alle sue aspirazioni, e cade da quell’altezza.
Crespi: ascesa e tramonto
Quella primavera la regina Margherita visita la pinacoteca milanese che Crespi colleziona al civico 18 di via Borgonovo: l’industriale «in quel giorno caldissimo, bevve una grande quantità d’acqua. Dissero che ne fece indigestione. L’indomani fu colpito da trombosi cerebrale. Se la cavò, ma perse la memoria dei fatti giornalieri; ricordava i canti della Divina Commedia ma non che suo figlio era sposato da 14 anni». Su quelle settimane, perdipiù, un tragico incidente funesta il cantiere della centrale trezzese. Insieme all’opificio, Cristoforo affida allora la Centrale al primogenito Silvio Benigno (1868-1944), che ha lui pure il sangue e il nome dell’avo fondatore. Per edificare quel presidio, il padre rilevò i terreni che la diga avrebbe sommerso. Comprò il castello sullo sperone trezzese, per tutelarsi da altre iniziative idroelettriche. Consentì alle tutele sulla navigazione, la pesca, i lavatoi. Elargì premi per la riuscita del progetto. Accordò forniture elettriche privilegiate a chi insorse contro l’opera.
Convocando al capolavoro idroelettrico di Trezzo i professionisti più pagati, Crespi insegue arte e progresso, trovando la ricchezza lungo l’inseguimento. Cristoforo sa il latino quanto i dialetti, parlando con semplicità ai rispettabili e con rispetto ai semplici. «Aveva baffi e mosca al mento; stuzzicadenti tra le labbra, quando sedeva al camino; parlata calma, serena, erudita. Non lavorava molte ore ma le sapeva far rendere; le altre, del giorno e della sera, le dedicava a letture di classici»; così racconta Nino Crespi, nipote del fondatore, nelle sue memorie (Luigi Cortesi – a cura di, Una Vita, Bellavite 2016).
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Per approfondire, su questo sito:
1928, cronaca nera a Crespi.
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