Di Mariani Celeste «Quartìn» (1868-1955) i numerosi discendenti restituiscono la saggezza commerciale: i suoi proverbi con la testa china, le mitologie, i crediti contati sulle dita che non bastavano a elencare la sua vasta figliolanza.
Tra il 1904 e il 1955 l’Archivio Comunale censisce l’attività di Celeste Mariani detto «Quartìn» (1868-1955) ai primi civici di via Manzoni, sul lato mancino: dirimpetto all’arco che, della frazione Concesa, ospitava scuole e soppresso municipio[1]. Ma già a fine Ottocento i tre gradini invitavano nella bottega dove Celeste raddoppiò, senza lasciarlo, il commercio ambulante del padre Natale[2]. Percorreva ancora su un carro a tendone le corti di Trezzano Rosa e le cascine orbitanti attorno al centro trezzese dove, da solerte «Brusadèll»[3], non si azzardava per l’antica rivalità tra città e frazione. Offriva frutta e verdura, scatolame, dolciumi, farina; persino la lisciva in una damigiana e gli zoccoli, che il figlio Andrea Mariani (1901-1967) imparò a confezionare da Giuseppe Fagnani lungo la Valverde. Solo che la stessa mercanzia era esposta anche nell’angusto bazar di via Manzoni, dove i contadini saldavano i debiti dopo il raccolto.
Stanziale o itinerante, Celeste si riforniva settimanalmente al mercato di Treviglio, proseguendo a Caravaggio per caricare l’olio di semi: a Calvenzano riempiva il carro di meloni e angurie, di pesche a Fara, di uva settembrina a Bonate. Pigliava altrove la frutta stagionale che non coltivasse sulle sue pertiche concesine[4], e la smerciava alla piazzetta della svolta tra via Bassi e Manzoni. Il merluzzo, Celeste lo arrostiva nella cucina che, annessa al negozio; mettendolo in tavola anche per i suoi dodici figli: i «Quartétt». All’affaccio di corte montava, col freddo, la caldaia delle caldarroste. I prodotti più longevi dormivano nel deposito, sull’altro lato del cortile, disturbati appena dal cavallo grigio nella stalla attigua.
Mariani Celeste, la preghiera nella nebbia
Per la fornitura natalizia, nel 1887, Celeste rincasava tra Cassano e Trezzo quando la nebbia s’ispessì lungo il naviglio Martesana in cui precipitò insieme al carretto. Così Alberto Mariani nipote (1936)[6] racconta il racconto di nonno Celeste. Perse la borsa ma tenne la vita, attribuendo la grazia alla Madonna di Concesa, cui offrì un ex-voto ancora affisso nella sacrestia carmelitana[5].
Nel 1945 gli tamponò il carro una camionetta di soldati americani, rovesciandolo nel terreno su cui sorse poi l’Istituito «Cantoni» tra Caravaggio e Treviglio. Accompagnava Celeste, che aveva già una gamba ingessata, il nipote Alberto Mariani. Del mezzo, trasformato in catapulta, fu lui il proiettile senza ammaccarsi granché; mentre nonno si assicurò al posto di guida e, accovacciato, non ne sbalzò nemmeno fuori. Aveva mani salde, «Quartìn», su cui contare i crediti con matematico istinto: lasciando però le trascrizioni nel libro mastro alla bella calligrafia della moglie Celestina Biffi (1872-1943)[7]. Lui allestiva una bancarella per santa Teresa o la Madonna del Carmine, combinava incontri come retribuito sensale di matrimoni («murusàtt»), curava persino la sciatica con pestati bulbi di Muscari e Crocus. Li coglieva di buon mattino, calcandoli a mortaio per ottenerne l’impiastro che applicava sotto la pianta del piede, isolato da una foglia di bietola finché non maturasse vescica. Spurgarla, per l’esuberante curatore, sanava la sciatalgia.
Al figlio Andrea, che volle con sé in bottega, assegnò l’impegno di mediatore tra i contadini. E il giovane obbediente lasciò a Crespi il lavoro di pesatore apposta per condurre l’esercizio, col padre e la moglie Caterina Arnoldi (1907-2002). Fu lei, anzi, ad aprirne le porte per qualche anno ancora dopo la morte di Celeste. Era figlia di Giacomo che, nato a Sueglio (Lc), contò dodici anni in America prima di acquistare su via Littorio (oggi Marconi) i locali trezzesi dove i Colombo «Ghirlum» tenevano zoccolificio nel 1934[8]. Era tempo di matura attività anche per Celeste che, da Pontirolo, smerciava allora patate ai Tedeschi stanziati in Villa Gina. A Concesa non aveva che la timida concorrenza delle sorelle Maria e Clementina Corci fu Giuseppe che, in piazza Grande (oggi Cereda) rivendevano pane e generi alimentari.
Con in mano i confetti del Cinquantesimo dalle nozze, intanto, Celeste stringeva la sua fitta discendenza in una foto. Senza contare le culle che la morte gli aveva svuotato, mostra al fianco dodici figli, quattro dei quali idraulici, due scalpellini («picaprej») alla cava «Ciapera» in Val di Porto[9]. Fin dal 1911 la figlia Maria, sposa a Zaverio Bassani, cucinava invece cacciagione (ma anche coniglio, trippa e «casöla») allo Stallazzo di via Bassi 2[10]. Da qui un pergolato a glicini incamminava perlopiù carrettieri verso il campo da bocce; ma potevano entrare anche da via Manzoni, proprio là dove Celeste teneva bottega. Posteggiavano in corte. Pur conservandone proprietà, Maria cedette brevemente la licenza d’esercitare «Il Giardino» (come lo chiamarono) alla milanese Santina Introzzi fu Vittorio, che la passò alla Cooperativa «Libertà» con gli anni Cinquanta[11]. Proprio mentre i compaesani clienti accompagnavano Celeste «Quartìn» all’ultimo riposo che, forse, era anche il suo primo.
(Da Bonomi, Confalone, Mazza Ditte e Botteghe del Novecento a Trezzo, ivi 2012)
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[1] Il decreto di annessione al Comune di Trezzo data 17 gennaio 1869.
[2] Prima ancora, i Mariani percorrevano le vie dell’Ottocento come carbonai.
[3] Così sono detti i Concesini perché pare bruciassero le sterpaglie attorno al paese, rifiutandone la soppressione municipale: o, con maggiore probabilità, perché bruciati dal sole mentre zappavano terre spesso sabbiose.
[4] Messe a coltura da Mariani erano le 6 pertiche della proprietà detta «Armasciöo», sull’oggi viale Lombardia; un terreno su via Martesana e un ulteriore campo affittato.
[5] AAVV, Santuario della Divina Maternità e Convento dei Padri Carmelitani Scalzi in Concesa, Trezzo sull’Adda 1991, p. 92.
[6] L’intervista ad Alberto Mariani data 22 e 24 luglio 2011.
[7] Tanto la venerava il marito che, con lui, l’intera Concesa usava chiamarla «Regina dal Quartìn». Anche se un’altra voce vuole i due fossero nominati Re e Regina perché nati pochi mesi dopo Elena del Montenegro e Vittorio Emanuele III.
[8] Il negozio venne poi convertito in Carrozzeria dell’erede Colombo, orfano nel 1947. Il soprannome «Ghirlum» è attestato trezzese dal fondo anagrafico parrocchiale (APT, Liber Defunctorum 1792) fin dall’ultimo Settecento: lo portava Luigi Colombo, sedicenne annegato l’8 luglio 1792 rientrando via fiume da un pellegrinaggio a Suisio.
[9] Di questi, Angelo edificò giusto in ceppo e laterizio una bella casa sull’attuale via don Carlo Gnocchi.
[10] ACT, Contabilità 59 e Censimento Fascista.
[11] ACT, Registro Licenze 1939-1972.
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