Pirovano, il forno che profumava la Valverde

La storia come un coltello nel pane. Da Cassina de’ Pecchi a Trezzo, i panettieri Pirovano si collocano nell’economia paesana, spezzando sul rione valverde la quotidiana fatica del fornaio.
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Il forno Pirovano sulla Valverde prima dell’intervento di rinnovo

Forni rionali profumavano Trezzo, dal Pirovano sulla Valverde risalendo in piazza Vittorio Emanuele (dietro san Rocco) fino al pane dei Carrera: Achille prima, poi Felice e infine Natale, la cui vedova Maria Buratti gli successe nel 1929. In via Risorgimento Pietro Bazarghi fu Luigi detto «Barburèt» consegnò col soprannome l’arte al figlio Guido che la tramandò fragrante a Emilio e Pietro. Su via Bergamo (poi Sala), Egidio Vergani acquistò nel 1935 la licenza Perego ex-Mattavelli ma già dal 1886 Antonio ci dorava il pane portando quel cognome (ACT, Preunitario, 23/426).

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Lo scatto del traguardo alla Riva degli Schiavoni, datato dal primo equipaggio del raid remiero al 21 agosto 1931 (ore 9.05). La fotografia storica è stata donata dall’ing. Alberto Rolla in segno di stima ai tre vogatori del 2007.

Su via Brianza (poi Dante) fecero altrettanto almeno tre generazioni di Pirola, un cui rampollo conquistò Venezia in barca a remi nel 1931. Da Trezzo indisse il raid Carletto Colombo. I figli di Ferdinando Ronchi ne tennero acceso il forno su via Circonvallazione (poi Gramsci) fin dal primo Novecento mentre solo nel 1927 aprì quello di Francesco Galli fu Ambrogio in via Garibaldi 2 (cfr. Scheda Unione).

Il pane dei Pirovano «Buioch»

Papà Fedele servì lungamente nell’esercito asburgico e, congedato, resse con la stessa disciplina un mulino a Cassina de’ Pecchi. Domenico Pirovano (1878-1962), il figlio partoritogli dalla prima moglie Maggioni, non tollerava granché la Stabilini che il padre sposò in seconde nozze. Preferì anzi portare i suoi taciturni dieci anni a Trezzo, dove sarebbero lievitati senza molte parole in più salvo quelle per ribadire ai nipoti di non guardasi allo specchio né leggere i giornali; e mai pesarsi. Amica di casa, Maria Cazzaniga ved. Panzera, lo accolse più figlioccio che garzone nella bottega affacciata sulla Valverde trezzese.

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Il rione Valverde (Foto Roberto Barzaghi)

La drogheria, mancina scendendo, offriva grappa e caffé egregi oltre al legno dolce: la liquirizia era in bastoncini o piccoli rombi («anisètt»), non dissimili dai manuscristi che attardavano i ghiottoni sulla piccola vetrina[1]. Qui Domenico rincasava infarinato dai Mattavelli, che smerciavano pagnotte e lievito in panetti all’abbattuto «Cairo», l’edificio dirimpetto agli attuali portici verso il ponte[2]. Imparò da loro come infornare il pane e, insieme all’arte, conquistò allora Giuseppina Colombo (1877-1944) che gli reca in dote l’incerto nomignolo con cui papà Angelo percorreva le cascine come ambulante di uova, latte e formaggi: «Buioch».

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L’interno della corte Pirovano, prima del rifacimento (Foto Pirovano)

L’epiteto, che aderì ai Pirovano, distingueva già i figli concesini di Angelo Colombo. E cioè Celeste che diede la tonaca alle ortiche per la bella Caterina di cascina Chioso; Giuseppe che con la moglie roncellese aprì gelateria al civico 1 di via Torre (1927)[3], dove vendette poi frutta, verdura e merluzzo; Giovanni che, dopo l’osteria in via Jacopo, su quella strada fu lui pure fruttivendolo (1911) con la moglie Guazzoni; Carolina che invece Guazzoni aveva il marito per esporre frutta e verdura in via santa Caterina 1[4]. Alzarono tutti i meglio auguri quando la sorella Giuseppina Colombo seguì il consorte Pirovano a Brembate; ma la diffidenza per il forestiero e una malattia suina avversarono il forno che i due ci aprirono con tanto di annesso allevamento.

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1909, diploma d’onore fiorentino a Domenico Pirovano (Foto Pirovano)

Tornarono in Trezzo, dove lui, Domenico, riebbe un grembiule al forno Mattavelli mentre il suocero Angelo «Buioch» gli avviava una piccola rivendita di pane sul portone antistante le scuole di piazza Crivelli. Qui Giuseppina partorì Celeste, Pietro e Angiola: Ettore (1916-2010) invece lo allattò sulla Valverde. In quel rione Camilla Nava Lancrò aveva infatti cessato un prestino di cui, con l’amico calzolaio Giuseppe Lancrò, ancora Angelo aveva accomodato la cessione al genero.

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Diploma di merito ad Ettore Pirovano (Foto Pirovano)

Mentre il fratellastro Giuseppe Pirovano impastava il pane a Boffalora, alla Valverde prese così a sfornarlo Domenico coi quattro figli attorno. Incendiava legni e fascine il forno che, liberata la brace, accoglieva pane: bianco per malati e signori; scuro per i contadini, che spesso lo portavano al «Buioch» già impastato. Che riflesso dalla muratura il calore avvolgesse in uniformità le pagnotte Ettore lo imparava da papà Domenico, premiato all’esposizione fiorentina del 1909. Perciò non volle affrettare la panificazioni in forni elettrici, quando nel 1963 aggiornò il negozio e l’annesso laboratorio sopra cui non dormiva che brevi ore. Fino al 1939, quando la ritirarono gli Annoni di Bergamo, Domenico chinava i pomeriggi sulla macchina per trafilare in bronzo spaghetti e maccheroni. Essiccavano stesi nel locale a sopralzo del forno, che già dalle 2.30 profumava le notti di pane. O persino da mezzanotte, al sabato, quando capitava si proseguisse fino a mezzodì per soddisfare i Bergamaschi nella cui provincia i panettieri cedevano al riposo domenicale.

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Domenico Pirovano con la moglie Giuseppina Colombo (Foto Pirovano)

L’esercizio, la cui chiusura risale al 2007, non fece riposo estivo che dal 1979: in riguardo ai clienti. Avevano ciascuno la propria busta di stoffa e il conto proprio; talora saldato in frumento, specie durante la guerra. Il conflitto mondiale mise in divisa i fratelli Pirovano: Celeste che impastando cantava alle passanti e ne sposò una per aprire panificio a Trecella; Pietro che fece l’uguale a Villa d’Almè; Ettore «Buiuchìn» che seguitò il forno trezzese[5]. Mentre quest’ultimo combatteva la Seconda Guerra a Civitavecchia, a sua moglie Maria Mauri[6] toccò in paese la guerra seconda per scampare il fallimento. Coi figli piccini e il marito arruolato, ottenne dal podestà Dante Rolla che due forni paesani le rifornissero il pane, smerciato per sopravvivere.

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Il rifacimento Pirovano sulla Valverde trezzese (Foto Pirovano)

Gli eredi Ornella, Ermanno e Loredana crebbero così sul bancone, che li superava in altezza quando bambini già reggevano a mamma le borse da riempire[7]. Di leva, il secondogenito si ritagliava licenze di 36 ore per impastare il pane insieme a papà, che compì lavorando i 90 anni.

(Da Ditte e Botteghe del Novecento a Trezzo, ivi 2012)

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[1] Circa l’esercizio della «Panzera», cfr. Luigi Medici, Il calzolaio della Valverde in L’Italia, 23 luglio 1942; Carlo Giacomo Boisio, Valverde, II edizione, Trezzo 1980, p. 270. Gli succedette al bancone la figlia Giuseppina Cazzaniga, cfr. Scheda Unione. Per gli «anisètt», cfr. Aberardo Cortiana, Tress in dal sò dialett, Trezzo 1996, p. 212.

[2] Felice Mattavelli fu Enea cessa il prestino di famiglia su via Bergamo 9 (oggi Sala) tra il 1904 e il 1910 (cfr. Scheda Unione), quando gli subentra Vicenzo Perego fu Rocco «Palatee» (1886-1940), zio di Rocco Perego che partì missionario PIME tra i lebbrosi della Birmania. Residente in via Dante, la famiglia vi teneva inoltre l’osteria «dell’Unione», un mulino e una privativa. Per primo il ciabattino Ferdinando Perego fu Giovanni Antonio (1807-1869) migrò dalla natia Mezzago a Trezzo, dove sposò Clotilde Rosa Barzaghi. Cfr. Cristian Bonomi, Padre Rocco Perego in Quaderni Trezzesi 8, Trezzo 2002. I diario missionari del sacerdote trezzese in Birmania contano tre diverse edizioni PIME. Alla panificazione Perego, già Mattavelli, subentrò nel 1935 Egidio Maria Vergani fu Francesco (cfr. Scheda Unione).

[3] Nel 1937 le produzioni di gelato erano, a Trezzo, cinque; oltre al Colombo: Casto Crivellino al 7 di via Bergamo, Agnese Beretta al 9 di via Indipendenza, Pietro Gipponi al 4 di via Torre e Attilio Cazzaniga al 5 di via santa Caterina. Cfr. ACT, Censimento fascista delle attività, 146.11.3.1 e 147.11.3.1.

[4] Cfr. Scheda Unione.

[5] La sorella Angiola maritò invece Caglioni, operaio presso il forno paterno, aprendone uno in proprio a Capriate. Dei fratelli, l’arte proseguì alla generazione successiva.

[6] Nativa di Seregno, aveva zia Giuseppina Mauri sposata al macellaio trezzese Angelo Signorelli, di cui proseguì vedova l’attività su via Torre già dal 1908. Talora, dell’esercizio si annota «succursale Crespi d’Adda», cfr. Scheda Unione.

[7] L’intervista ai tre fratelli Pirovano data 24 agosto 2011.

2 Responses

  1. me lo ricordo benissimo il prestinaio pirovano perche hegli anni 50 comperavo il pane biove per la pausa a scuola era buonissimo e profumato bei tempi passati quando il pane non ammuffiva ed eera profumato

  2. negli 50 comperavo il pane biove presso la panetteria pirovano in val verde a trezzo sull adda e quel pane lo mangiavo durante la pausa a scuola era buonissimo e allora il pane era profumato e non ammuffiva come oggi bei tempi passati quando il pane era l alimento principale perche non esitevano tutte quelle merendine piene di zuccheri e di grassi

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