Dal temporale del 1628, che seminò carestia, a quelli “formidabilissimo” e “strepitoso” del Settecento abduano: acque temute o invocate tra la pioggia che scende e la piena che sale, specie per le esondazioni degli anni 1855 e 1867. Fuoco e neve sulla Brianza, la grandine che spogliò le vigne di Inzago e Vaprio trafitta dal fulmine.
La pioggia cade, antica e minuziosa. Ha forse la stessa angolatura in cui rinfrescava il cortile dei nostri avi, intenti a bruciare l’ulivo benedetto o a spargere le ceneri del ciocco natalizio per evitare la grandine. Alle volte, posavano nei campi persino scope o bastoni, superstiziosamente legati a croce. Eppure, è con stillante indifferenza che la pioggia notturna di Walterloo (18 giugno 1815) prepara la fangosa sconfitta di Napoleone; o il temporale insiste su Milano la notte seguente l’assassinio di Umberto I (29 luglio 1900), quando circa 500 meneghini protestano che sia pavesata a lutto la bandiera del municipio: ne vennero arrestati due, riferisce il Corriere della Sera.
Minaccia invitante e invito minaccioso, la pioggia condanna al Diluvio Universale e assolve dalla peste manzoniana, batte alla porta con mani d’amante e si dispera sui gradini; alle volte, infittisce tra i tetti l’esatto rumore della puntina da giradischi sul vinile che sta per finire. Gli acquazzoni riversano le piene dell’Adda lungo l’anno del colera (1855) e ancora nel 1867, quando il fiume trascina con sé il ponte di Canonica. Il cielo sgocciola anche sul 21 febbraio 1914 mentre il card. Andrea Carlo Ferrari ascende al campanile di Trezzo per benedirne il nuovo concerto in 12 bronzi. La pioggia rianima spesso le architetture monumentali, specie se gotiche come il duomo di Milano: i doccioni gettano voci d’acqua e i marmi “cantano”.
Neve e temporale sul Seicento brianzolo
Nella ghirlanda dei 12 giorni, tra Natale e l’Epifania, per antica superstizione i contadini traggono profezie meteorologiche sull’anno entrante. La veggente rima dei proverbi circa tempesta o siccità, le rogazioni maggiori e minori per ammansire la tempesta restituiscono la signoria dell’acqua sulla cultura rurale. Lo scrupoloso notaio Marco Antonio Perego q. Girolamo, che prosegue l’arte dello zio, roga in Pieve di Missaglia tra il 1620 e il 1664. Presso l’Archivio di Stato in Milano la rubrica dei suoi atti, numerata al progressivo 3616, intercala memorie di fatti eclatanti; molti tra i quali meteorologici.
L’8 aprile 1624 «venne alta la neve più di quattro dita», riferisce l’uomo a Barzago, mentre in Campsirago ne attesta mezzo braccio. L’8 giugno 1627 tocca indossare «panni d’inverno per un freddo grandissimo». Il 3 giugno 1628, invece, «è venuto un temporale con vento terribile che ha consumato ogni cosa». Immiserendo i raccolti, le intemperie annunciano carestia e pestilenza. Scrive il notaio l’11 ottobre 1629: «Hoggi circa a mezza hora di notte si cominciò a vedere uno splendor come di fiamma di fuoco ascendente al cielo dalla parte di Settentrione qual cominciava al parer nostro dalla cima dei monti [colli] di San Fermo et andava fino a Brivio.. a nostro parere pareva che tal fuoco uscisse d’Adda.. sino a due hore di notte». L’evento viene liquidato da taluni come un incendio, benché i più ne leggano il presagio della peste «qual habbia d’abbracciar tutta l’Italia e già si è scoppiata in molti luoghi».
I temporali settecenteschi
Nel 1719 la regia camera di Vaprio d’Adda, sulla svolta del naviglio Martesana, viene travolta da un «formidabilissmo temporale». L’oggi restaurata casa del custode soffre allora «quattro camini verso la cucina del camparo rovesciati sopra il tetto.. levati moltissimi coppi, con rotti buona quantità di vetri delle finestre verso il Naviglio e verso Adda e anche dal grande impeto del vento sollevato da una parte il soffitto della scala di sopra» (ASMI, Atti di Governo, Acque Parte Antica, 945. Cfr. Sormani).
Nell’agosto 1749 il camparo Ignazio Guaitano lamenta un rovescio simile presso la regia camera di Cassano d’Adda che, in zona San Dionigi, presiede alle acque del canale Muzza: «uno strepitoso temporale con galiardissimo vento.. ha sconvolto o trasportato anche quantità dei coppi esistenti sopra li tetti di questa Regia Camera» (ASMI, Atti di Governo, Acque Parte Antica, 622). La tempesta infrange persino alcuni vetri alle finestre. Ancora nel 1791 la comunità di Inzago, lungo il naviglio Martesana, supplica di essere dispensata dalle tassazioni in ragione delle «replicate grandini sofferte nelle vigne», come già ottenuto sul tardo Cinquecento (ASMI, Atti di Governo, Censo Parte Antica, 1291). Quando ancora la tradizione vinicola correggeva il panorama delle acque abduane.
1709: Vaprio d’Adda, trafitta dal fulmine
Storico locale delle province lombarde, esperto specie sulla natia Valle dell’Adda, Vincenzo Sala ha rinvenuto una tragica testimonianza temporalesca dal fondo anagrafico dell’Archivio Parrocchiale in Vaprio (Registro dei morti dal 1673 al 1735, 1709). Così ne riferisce: «Il 26 agosto 1709 era un lunedì. Sulla sponda destra dell’Adda e sopra il grosso borgo milanese di Vaprio Pieve di Pontirolo si erano addensati dei grandi cumuli-nembi; all’improvviso, da una di queste imponenti formazioni nuvolose era scoccato con un fragore e una luminosità indescrivibili un fulmine devastante, che aveva colpito il centro dell’antica cittadina. Cinque abitanti di Vaprio rimanevano uccisi sul colpo, un fatto senza precedenti nella lunga storia del paese. L’allora giovane parroco don Giovanni Gaetta (che sarebbe rimasto in carica per ben 56 anni) annotava mestamente nel libro dei defunti i loro nominativi e le loro età: si trattava di Carlo Cattaneo, di 53 anni, immigrato a Vaprio da Mezzago; di Carlo Sala, di 47 anni, immigrato da Bernareggio; di Giovanni Gerosa, di 32 anni; e di due bambini, Carlo Biavaschi, di 10 anni, e Giorgio Marcandalli, di 9. La disgrazia aveva destato nel Vapriese grande impressione. Per fortuna, un fatto del genere non si sarebbe più ripetuto».
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