Giulio Trotti Bentivoglio, nipote di Alessandro Manzoni: luogotenente di vascello, milanese per nascita, morì ad Ancona nel 1866 per tifo petecchiale. Di lui l’archivio familiare Bassi conserva a Trezzo specie disegni e lettere.
Non aveva che ventiquattro anni Giulio Trotti Bentivoglio quando il tifo petecchiale, peste delle navi, spezzò il flauto della sua giovane vita. La malattia lo assediò ad Ancona, nel 1866, e il 5 luglio riscosse il suo ultimo respiro. Neppure un mese prima era stato promosso Luogotenente di Vascello nella Real Marina Italiana, alando la gioia dei fratelli, che ora precipitava da più in alto.
La sorella Margherita, sposa trezzese di don Francesco Bassi, ripose nel proprio scrittoio questa memoria: «Giulio Trotti Bentivoglio Tenente di Vascello nella Real Marina cui invida morte il 5 luglio 1866 tolse in Ancona di partecipare alle sospirate battaglie dell’Italica Indipendenza i fratelli e la sorella pregano il riposo di quella Patria che è straniera a servitù e una per tutti». La calligrafia è commossa, l’appunto privato. Eppure, a trafiggere il dolore familiare è quello ancor più affilato di un’Italia incompiuta.
Proprio il tentativo di unificare il paese costò l’esilio al padre e a due zie di Giulio. Senza contare che, dei fratelli suoi, Alessandro lasciò i pennelli per seguire Giuseppe Garibaldi mentre Antonio (generale) consacrò la vita alla causa nazionale. Con loro Giulio divideva amari ricordi.
Trotti Bentivoglio, il luogotenente che scriveva lettere a nonno Manzoni
Nacque a Milano il 1° agosto 1842 e fu battezzato nella parrocchia di San Francesco di Paola. Portò i suoi ignari tre anni al funerale della madre Sofia Manzoni, figlia di don Lisander romanziere, nel marzo 1845. E undici primavere dopo vide la villa edificata dal bisnonno a Verano confiscata dagli Austriaci per punire il padre Lodovico, che scelse la divisa piemontese. Chiedere al tempo che ci riconsegni un giovane di un secolo e mezzo fa può sembrare pretenzioso.
Ma don Alessandro Bassi, pronipote di Giulio, ne serbava l’illuminante corrispondenza. Quindicenne, il Trotti riceveva dal nonno Manzoni una lettera inedita. Il tono è affettuoso ma deciso: «Coraggio dunque, il mio Giulio! Anche a studiare, anche a assoggettasi a una serie regolare d’operazioni, per sé poco dilettevoli, ci vuole coraggio; e l’andarci di mala voglia è anch’essa, per dir la parola orribile per Giulietto, una specie di paura». Ecco, il tempo riapre i cancelli. Restituisce un ragazzo scalpitante, cui non vanno stretti gli aggettivi «generoso» o «goliardo» visto che dispensò prestiti e marachelle con la stessa bonarietà.
Al 1856 risale una lettera scoccata al padre da Genova («Stati Sardi» si legge) per informarlo della bella goletta su cui è imbarcato. Quattro anni dopo, Giulio scrive da Tripoli un carme alla zia. La sua facilità nel verseggiare lo avvicina al fratello Antonio che, anch’egli poeta guerriero, non lasciava passare ricorrenza senza scioglierci sopra qualche verso.
Giulio era inoltre propenso al disegno come il fratello Alessandro, pittore e garibaldino, cui però confidava di non riuscire bene nei ritratti di persona. Risalgono al 1862 due intensi suoi schizzi a matita, uno dei quali s’intitola «Aurora in Navigazione». I fratelli Trotti erano stati educati tutti alle Muse prima che alla spada. Margherita teneva fitti carteggi in francese, perfino con l’omonima regina, che conobbe in gioventù. Alessandro fu amico di Lumière e praticò anche la fotografia, contagiandone la passione ai nipoti. Giulio, ventenne, stemperava le fatiche del mare ritraendolo e cantandolo.
Nel 1861 frequentava a Torino la scuola superiore di Marina, lamentando la difficoltà degli esami. In quell’anno Cavour firmava la sua nomina a Guardia Marina di Prima Classe. Ma al bell’attestato, datato a Torino, altri ne seguirono. L’ultimo è vergato a Firenze, nuova capitale provvisoria, e valse a Giulio la divisa con cui fu inumato Tenente di Vascello.
Nel 1860 aveva scritto da Genova al fratello Sandro, residente in Torino. Riferiva che la livrea gli stava un po’ corta, concludendo: «io sto perfettamente, non ho neppure risentito del tempo che ha fatto fino ad oggi, che per quasi tutti è stato causa di raffreddore». Eppure, sei anni dopo, il tifo soffocava i giorni di Giulio come colombe.
«Un morbo contro cui ruppero impotenti tutte le cure dell’arte medica e l’affettuosa assistenza degli amici e compagni d’armi lo spense immaturamente sul fiore dell’età – commentò un giornale nella rubrica “Patriotismo” – Certo sarebbe stato preferibile, se doveva morire, cader sotto il ferro o il fuoco del nemico; ma la patria non sarà perciò obliviosa del nome di uno de’ suoi figli che diede per essa la vita, sebbene non caduto in battaglia, perché contrasse nei disagi e nelle fatiche del servizio militare il morbo che lo trasse alla tomba».
Dopo aver ripercorso le vite dei fratelli Trotti issiamo un’ammirazione che, di spalle, sembra proprio imbarazzo. Accostato agli ieri di cui ci parlano, il nostro oggi è quasi offensivo. E non ci resta che ripetere con Leopardi «si sveglino i morti perché i vivi dormono». Dormono.
Per approfondire:
- Antonio Trotti Bentivoglio;
- Alessandro Trotti Bentivoglio;
- Margherita Trotti Bentivoglio Bassi.
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Ringrazio delle memorie familiari, materiali e raccontate, don Alessandro Bassi e il figlio Lorenzo.
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