Da Gorgonzola a Trezzo, la famiglia dei bottai Villa impegna almeno tre generazioni in quell’artigianato: utilità contadine battezzate dal dialetto e “comodità” per le lavandaie, che lavavano i panni in Adda.
A Gorgonzola il 15 ottobre 1887 Lazzaro Villa, secchionaio cittadino, trasse in salvo un ragazzo dal naviglio: «con manifesto rischio della vita» soggiunge il diploma che, nel marzo seguente, gli appuntò medaglia d’argento al valore civile. Quel sabato d’autunno, Luigi Villa (1872-1927) vide forse tuffarsi il padre che in negozio già gli insegnava come si cerchiano botti, secchie e mastelli. Ma altri familiari impugnarono quegli arnesi mentre Luigi ne comprava di nuovi a Trezzo, dove sposò Giacomina Boisio[1]. Iniziò qui, col Novecento, l’esercizio su piazza Comunale che poi traslocò in Valverde[2].
Sopra la bottega, che esponeva l’artigianato sui gradini, nonno Lazzaro morì e nacque l’omonimo nipote (1905-1984) cui lasciò il nome insieme al mestiere. In queste stanze, infestate di segatura, la famiglia alloggiava d’estate trascorrendo inverni più raccolti sul cortile interno da cui una stretta sbucava al civico 4 di via Ermigli[3]. Solo levando qualche doga, riuscivano a passarci i tini da vendemmia che i carmelitani dal convento di Concesa mandavano a riparare. Erano tanto grandi da coincidere con la corte dove lasciava un benedicente saluto anche il cugino padre Ildefonso di santa Chiara (1913-1954), al secolo Germano Villa, quando rimpatriava dall’impegno carmelitano in Palestina[4].
Risalì lentamente la Valverde nel 1927 il doppio funerale di Luigi e del figlio Pasquale che, accompagnati dallo stesso rintocco, lasciarono l’attività al giovane «Lazarìn Sagiunee». Rinverdì lui la famiglia, sposando il 2 ottobre 1930 Ester Parmeggiano i cui fratelli tenevano macelleria suina a Pozzo d’Adda[5]. Sotto il portico interno aspettavano la carezza della pialla le assi in acero[6], più robusto faggio e rovere da botte. Lazzaro provvedeva annualmente il legname sulle montagne trentine o bellunesi, che già aveva percorso con stivali da militare. Stringeva botti quasi coniche dette «bonze», in cui i figlioli entravano per segnargli a matita dove chiudere il fondo[7]. Sui campi il contadino ne svuotava da un rubinetto i liquami che riempiva dal boccaporto superiore chiamato «pedria».
Ma Lazzaro rinnovava anche le botti da vino per l’oste Giovanni Ponzoni[8]. Cerchiava soprattutto secchie per portare in casa l’acqua dei pozzi. Le mogli abitanti in paese gli pagavano poi le tinozze («sagium») per il bucato[9], che le donne delle cascine vicine all’Adda sciacquavano inginocchiate a fiume sui suoi «baralétt»[10]. Tra loro c’era anche la consorte Ester, operaia saltuaria alla tessitura Rolla. Sotto le bombe dirompenti, durante la guerra, si rifugiavano nelle attigue stalle Colombo i Villa che correvano verso i campi concesini se l’attacco era incendiario.
Nel 1942 l’avvocato poeta Luigi Medici disse Lazzaro «un bottaio sempre allegro, gioviale e sereno, instancabile giocatore di bocce»[11]. Quelle da gara arrotondavano sopra il banco di lavoro, tra lo scalpello e la trivella («cassalin») per forare le orecchie alle tinozze. Lazzaro ci si svagava la domenica al dirimpettaio albergo Trezzo dei Redaelli, magari col pittore Giovanni Colombo da Busnago (1908-1972). Lo ritrasse davanti bottega[12] prima che il declino agricolo e le tubature dell’acqua casalinga assottigliassero le vendite, costringendo Lazzaro a commerciare in bare[13].
Glielo consigliò l’amico Umberto Villa, sindaco e carbonaio, le cui finestre affacciavano sulla corte dell’artigiano. Pur vicine di casa e cognome, le due dinastie non convergono. I Villa carbonai in via de’ Magri migrarono a Trezzo da Brentana sul primo Settecento[14], abbandonando la zappa per vendere combustibili. Luigi Villa fu Giuseppe ne iniziò il commercio negli anni Venti, ceduto al figlio col 1938, quando cadde fatalmente rincasando in biroccio da Busnago: il cavallo che s’imbizzarrì l’aveva ritirato dalle corse.
L’erede Umberto (1912-1962) proseguì l’attività finché, tre volte sindaco democristiano, annodò ai Trezzesi le tubature del gas[15]. Alla stessa poltrona, in municipio, avrebbe poi seduto Pasquale Villa che chiamava «papà» giusto Lazzaro il bottaio.
(Da Ditte e Botteghe del Novecento a Trezzo, ivi 2012)
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[1] Suo nipote Carlo Giacomo Boisio aggiornò il bel testo di Pietro Lincoln Cadioli, Valverde, nell’edizione del 1980.
[2] Cfr. Scheda Unione.
[3] Talora, è registrato il civico 7.
[4] Insegnante, fu priore al Monte Carmelo di Palestina e a Vercelli, morendo a Piacenza 24 anni dopo la professione religiosa.
[5] L’intervista a Luigia Villa, primogenita della coppia, data 25 agosto 2011. Ringrazio per le note ulteriori il prof. Pasquale Villa, figlio anch’egli di Lazzaro.
[6] Villa ci spolverava una sorta di cipria per alleviarne il pallore.
[7] Per pochi spiccioli, ancora i figli recavano in sacchi trucioli e segatura ai vicini che ci nutrivano il fuoco.
[8] Reggeva l’ex-mescita Fabiano su via santa Caterina.
[9] Per i tini, le doghe venivano curvate a caldo.
[10] «Asse d’appoggio, protetto da tre lati, perché la lavandaia inginocchiata non si bagnasse», cfr. Aberardo Cortiana, Tress in dal sò dialett, Trezzo 1996, p. 213. Ogni anno Lazzaro scaricava da un carretto a nolo il suo artigianato presso le fiere vaverina di san Pietro o di santa Caterina nella natia Gorgonzola.
[11] Cfr. Luigi Medici, Il calzolaio della Valverde, op. cit.
[12] Cfr. Pasquale Villa, La mia Trezzo, ivi 2004. Parte della tela colora la copertina.
[13] Malgrado ciò, la milanese Camera di Commercio Industria e Agricoltura conferì medaglia d’oro a Lazzaro negli Anni Sessanta per oltre un trentennio da artigiano «secchiaio».
[14] Cfr. APT, Fondo Anagrafico.
[15] Cfr. Cristian Bonomi, Umberto Villa in Quaderni Trezzesi 10, Trezzo 2002.
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