Vita contadina: se fossi nato nel 1901?

Vita contadina: il ritmo dell’uomo e delle stagioni in una biografia ipotetica e lombarda. Quando ancora il paese non era città, i campi gli crescevano tutto attorno e  il sarto tagliava anche i capelli.
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Brambilla Giovanni fu Carlo Giacomo (1873-1936) coi figli Giovanni Ambrogio e Gaetano Giovanni Battista

Fossi nato nel primo Novecento in una famiglia lungamente trezzese, la Bertaglio per esempio, forse ti saresti chiamato Gaetano come il patrono paesano che la Madonna licenziò solo nel 1948. La tua vita contadina avrebbe seguito la danza delle stagioni, con semplicità e precisioni tali che forse avresti dimenticato il numero dei tuoi anni lineare, seguendo il tempo circolare della semina e del raccolto; quasi l’immortalità.

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Vimercati Antonio fu Luigi con la moglie Maria Bordogna (in panèt) e le figlie Luigia e Albertina presso il Santuario di Caravaggio

Per quaranta giorni dopo il parto, mamma annoda un fazzoletto («panèt») che le vela la testa: assolve così al luogo biblico (Lev 12, 6-8) che dispone la Purificazione delle puerpere. Un passo cristianamente frainteso, quasi in odio alla donna, benché quei quaranta giorni servissero piuttosto a ricreare la madre dalle fatiche del parto. Con la testa velata, la puerpera assiste alla liturgia dalle ultime panche. Le risale solo dopo la «quarantina» per chinarsi alla benedizione dal parroco cui offre qualche uovo.

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I fratelli Ghinzani: Carlo (1903-1982), Gaetano (1906-1986) e Antonio (1901-1914)

Mamma ti stringe in rigide fasce che, includendo tanto di cuscino, rubano ogni movimento. Il nome dialettale del pannolino in stoffa, «patèl», significa anche «fiocco di neve». Mentre i tuoi familiari si occupano della vita contadina, ti accomodano sul rovescio della collana in cui l’asino traina il biroccio; o a letto sopra la «pisôta» che, scampando le lenzuola, assorba la pipì. Fasciato come sei, Gaetano, la morte ti dondola la culla. Se tossisci, mamma ti porta più fiduciosa dalle medicone che dal medico. Impari a camminare in «stranciröo» (girello) o «andadüra», il cui sedile scorre su due parallele fisse. Al collo imbratti lo «sbausciott» (bavaglino). E, con te, mamma allatta il neonato che ti sarà fratello di latte per la vita.

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Brambilla Luigi Agostino fu Carlo Giacomo con la moglie Bonfanti Maria Carolina e i figli Maria, Riccardo e Annunciata

Distingui fin da piccolo la grassa «erba purcialôna» dai frondosi «slavac», iniziando a piedi scalzi la tua vita contadina. Papà ti affida, «imbugadi», due vacche al pascolo col corno legato ad una zampa perché pensino all’erba e non alla fuga: bada che, così costrette, non cadano a fiume abbeverandosi. Da cascina Candiana, dove abiti, ti avventuri fino alla san Benedetto i cui saltafossi conosci perché recano il «disnà» (pranzo) ai padri impegnati «a föra»: nei campi, cioè, vicino casa tua.

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Madri e figli di Cascina Nuova, a Trezzo, durante l’assenza dei mariti al fronte (al centro Rosa Radaelli con la figlia)

Ti hanno convocato lì per il prodigio consueto. Più che trezzesi sono bergamasche le campane che rintoccano le 18.00. Puntuale, si sente un sassolino cadere dalla scala in legno che s’arrampica al secondo piano della fattoria. Si sente ma non si vede. Chi vive in san Benedetto ha provato invano ad aspettarlo sull’«era» (aia). Mormorano siano i monaci a infestare il cortile che fu loro chiostro. La vita contadina si stupisce di poco. E ti viene fretta di tornare a casa per sgranare il rosario vespertino.

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Al centro, Vimercati Luigi fu Giovanni (1857-1941) con figli e nipoti

In stalla lungo le sere d’inverno il «misée» (nonno) ti dice che, se non getti nel fuoco i denti da latte, alla loro cerca dovrai peregrinare dopo morto. Poco male se non fosse che, scovatone uno, lo riporrai in una pentola senza fondo per riprendere l’eterna caccia. La «mama granda» (nonna) ti raccomanda il segno di croce, specie quando passi dalla «Cava di Mort» (l’oratorio campestre di sant’Agostino).

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Crippa Pietro fu Luigi (1881-1961)

Papà ti insegna che, se il cielo minaccia grandine, bruciare ulivo benedetto la scongiura. La vita contadina ha gli elementi per complici. Alle volte, ti racconta della guerra: tu ricordi solo che, quando rincasava in licenza dalle trincee della Grande Guerra, eri felice di ricevere le gallette che risparmiava dal rancio per portartele. Avvolto nel mezzo tabarro, ti piace seguire papà all’asta della «ganga» (liquami), indetta al martedì in piazza santa Marta.

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Radaelli Giovanni fu Nazzaro Celso (1884-1939)

I «paisöo» (contadini) sottopongono l’immondo carico al «gangat» che, immergendovi dito, fiuta e assaggia l’onestà dei concimi. Certi li sentenzia annacquati, suscitando uno sdegno simile a quello che desta papà in osteria, quando scopre l’acqua nel suo mezzo di rosso. Se lo concede al lunedì, dopo il mercato, con tanto di trippa: non c’è domenica nella vita contadina.

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Compagnia d’amici trezzesi, anni Quaranta

Porti le domeniche all’oratorio, disertato dai «granduni» (i bulli) che fumano barba di granturco e già alzano vino, alleviandone la sbronza con lo «sbrufanàs»: acqua e magnesia. La scuola comincia dopo la raccolta del «malgòtt» (granturco). In aula la bacchetta dell’obbedienza si abbatte anche su chi rumoreggia con gli zoccoli. Ti intimorisce «al maestar, quel manscìn» che «sa so menga la lesiùm / mi a dà col bacatìn / e ‘l ma met in d’un cantum». A casa impari come liscare gerle, sedie. Sai intagliare remi, dentare a caldo i rastrelli; sapienze di vita contadina che tramanderai intatte.

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Ragazza Vimercati

Vita contadina: “una fretta di mani sorpresa a toccare le mani”

Francesco Cherubini (1789-1851) spiega che in dialetto «parlà» significa «corteggiare» perché la prima parola risuonò proprio per esprimere l’amore. Ai più timidi lo addita il «murusat», sensale in matrimoni che per dono riceve una camicia di seta. Il fidanzamento è asintotico. Le trecce dicono la verginità di chi le porti finché, maritata, non le raccolga a chignon.

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Sul cortile di casa Vimercati

D’inverno una zia siede in stalla tra i promessi che abitino la stessa corte: nelle fatiche della vita contadina si tengono a premurosa distanza. Così fai tu, Gaetano; almeno finché la tua (a)morosa non ricambia con un foulard da collo il messale e gli orecchini che tu le regali. La visiti al giovedì sera, quando per le osterie non si attardano che gli scapoli. Vi è consentito passeggiare, purché non oltre il tramonto sull’Adda. I tuoi genitori non potevano incontrarsi che due volte la settimana, fidanzati, barattando poche sorvegliate parole. Il servizio militare, la tramvia «Gamba da Legn» (1878), la Grande Guerra hanno allentato quel rigore, chiamando i giovani fuori paese. Chi abbia i capelli più bianchi, ancora ti ripete «’l tram l’è visium»; è vizioso.

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Colombo Angelo fu Natale (1896-1973)
Vita contadina: gli usi nuziali

Per la naia, otto giorni prima della visita medica cassanese, coi tuoi coscritti «rubi la bandiera» alla Classe 1900 (l’ultima chiamata alla Guerra Grande): la sventolate per le vie trezzesi con appresso un «verticàl» (organetto), bivaccando tra stalle e osterie. Racconterai spesso l’anno in divisa. Rincasandone, concerti il giorno delle nozze. Vi contentate di una cerimonia collettiva che, di buonissimo mattino, benedice più coppie contadine.

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La Leva del 1901 a Trezzo sull’Adda

Fermate dal fotografo Abdon Bertolini che vi scatta la «sumeansa» da incorniciare per sempre sopra il letto. Alla cravatta porti una spilla e i «mansciùm» (gemelli) ai polsini. In questi anni non usa più il vestito tradizionale né ancora quello bianco: i «sibrèt» (pianelle di cuoio) calzano i passi della sposa in abito scuro. Lo donerà nel tempo alla nuora più giovane. Mentre v’incamminate a casa tua, dove già fumano le imbandigioni, il paese apre bocca e finestre: «O mama mia la spusa l’è ché / fich alegria che incöo l’è ‘l so dé».

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1920, Colombo Angelo fu Natale (1896-1973) sposa Monzani Adelaide fu Luigi (1896-1970)

Siete fortunati. Fate viaggio di nozze a Milano come gli sposini che, alloggiati in una pensione cittadina, spalancano mattinieri l’armadio anziché le imposte. E, ammirati da quel buio testardo, considerano: «S’inn lunch i nocc da Milaa!»; quanto cioè sono lunghe le notti meneghine. Un esclamativo che il dialetto serba a commento di chi, sbadigliando, indugi troppo nell’alzarsi da letto.

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Vimercati Luigi fu Giovanni (1857-1941) coi nipoti

Hai rivolto l’onore del «vu» (voi) ai nonni: lui era «ragiùr» (capo di casa) nella tua famiglia di più coppie sotto le stesse tegole. Si lisciava i baffi prima di cercare sonno su un materasso imbottito di «sgaosc» (cartocci). Lei restava a «sgugiatà» (sferruzzare) nel tepore delle stalle, salvo succedergli nel governo domestico, assistita magari dal primogenito. Li hai visti progressivamente confondersi con la terra che coltivavano, lungo la loro vita contadina. Ti auguri di essere come loro.

Dal Notiziario “La Città di Trezzo sull’Adda“, n. 2, giugno 2012

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