Dal libro “Fabbrica di Luce” (per acquisto, 349/8304913 – ioprimadime@gmail.com), emerge anche il novero delle vittime cadute sul cantiere dell’odierna centrale idroelettrica “Taccani”: pochissime rispetto ai molti impegnati, fino a 1300 manovali; ma piante anche dagli industriali Crespi, che promossero la fondazione.
Funi, carriole, mine. Specie tra 1904 e 1906 il cantiere della Taccani sotto al castello trezzese ferve di maestranze perlopiù locali che, affiancate da quelle bergamasche, assommano circa 1300 assunti[1]. Dodici di loro, alle 17.30 del 18 giugno 1906, caricano in spalla le stanghe per condurre un ceppo rifinito alla facciata della centrale termica, oggi “Sala Liberty” della centrale Taccani.
Gravati da quei quintali, salgono lentamente l’impalcatura per collocare il pezzo accanto ad una pietra sorella, già provvisoriamente posizionata. Scivolando, un operaio afferra il ceppo provvisorio, che crolla sul ponteggio e lo spezza: gli uomini cadono per 12 metri insieme alle pietre. I tre medici accorsi accertano quattro vittime: Carlo Comotti, facchino trezzese di 29 anni; Carlo Minelli, suo coetaneo, scalpellino da Trezzo; Ambrogio Morosini, pure scalpellino trezzese, di 43 anni; Erasmo Torbiti, facchino bergamasco di 26 anni residente a San Gervasio d’Adda. Qui si trasporta anche il muratore ventiseienne Angelo Albergati, che spira il 20 giugno seguente[2]. Intanto, un convoglio speciale della tramvia Bergamo-Monza affretta altri due infortunati all’ospedale di Vimercate: il muratore Angelo Figini da Brembate e il facchino Luigi Albani da Trezzo[3].
Alle esequie dei cinque caduti, parla l’onorevole Silvio Crespi ma non suo padre, lui pure abbattuto. L’impianto trezzese oggi “Taccani” resta l’insonne, estremo, innamorato capolavoro di Cristoforo Crespi. In cima alle sue aspirazioni, mentre la centrale si compie, un’ischemia lo colpisce: proprio all’indomani della visita milanese, accordatagli dalla regina Margherita il 24 giugno seguente[4]. Si riavrà dall’ictus, cedendo al primogenito la propria impresa, che è tale nei due sensi consentiti dal dizionario. Per l’esposizione internazionale, già nel luglio 1906, Silvio accompagna a Milano circa 1000 suoi lavoranti della Taccani e degli stabilimenti Crespi[5]. Gli unici nomi che non dimentica, però, sono quelli di due facchini, due scalpellini e un muratore immolati al lavoro.
Dal volume “Fabbrica di Luce” (Bellavite, 2015). Contattatemi per informazioni sull’opera.
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[1] Corriere della Sera, 20 giugno 1906.
[2] Archivio Storico Comunale in Capriate San Gervasio, Fondo Anagrafico, atti di morte 1906 (ringrazio Maria Rosa Alborghetti).
[3] Circa l’incidente cfr. Corriere della Sera, 20 giugno 1906; Eco di Bergamo, 19 e 21 giugno 1906; Archivio Storico Comunale in Trezzo sull’Adda, Fondo Anagrafico, atti di morte 1906 (ringrazio Claudia Brambilla).
[4] Ringrazio della data puntuale lo storico Luigi Cortesi.
[5] Eco di Bergamo, 15 luglio 1906.
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