Bussando al Convento di Concesa, la serena accoglienza dei Padri Carmelitani Scalzi accenna una “iucunditas”, di cui testimonia anche il venerabile inzaghese Padre Benigno Calvi. Qui la tristezza disordinata è peccato di mormorazione contro Dio.
Che cosa fa chi fa del bene? Per prima cosa, sorride. Non si può tendere la mano in aiuto agli Altri risentitamente. Proprio sorridere è anzi il lineamento che consente di accostare almeno due biografie carmelitane in somiglianza di famiglia presso il Convento di Concesa: il venerabile Padre Benigno Calvi (1909-1937) e il vice-postulatore Padre Gerardo Bongioanni (1914-2006), che coinvolse molti alla causa di beatificazione per il carmelitano inzaghese.
Malgrado soffra già crudelmente le fitte addominali che lo condurranno alla giovane tomba, Padre Benigno sorride al Convento di Concesa e nelle foto a pochi giorni dalla morte; scrive lettere di rassicurazione a chi s’inquieti per il suo male.
Presso il chiostro che ospita entrambi, al Convento di Concesa, Fra’ Celestino Ferronato (1925-2013) è figura di uguale amorevolezza: umiltà inginocchiata sulla «petite voie» di Santa Teresa di Lisieux (1873-1897), piccola teologia, sorriso forte di fronte alle ingiurie del secolo e della malattia.
Se la famiglia carmelitana ha il sorriso per lineamento comune, ne possiamo interrogare la provenienza quasi genealogica. La verde devozione dei Padri Calvi e Bongioanni viene provata nella disciplina del Carmelo.
Entrambi devono prestare servizio al Padre anziano Telesforo dei Santi Gioacchino e Anna (1841-1933). Dall’infermità, costui chiama «le mie rose» il pitale che i novizi devono svuotare senza mortificarlo. Il male fisico non ottunde la serenità carmelitana. Padre Telesforo ottempera all’ordine del proprio Provinciale, compilando una memoria circa i chiostri di cui rammenta la soppressione (napoleonica o sabauda): Ferrara, Piacenza, Urbino oltre al Convento di Concesa.
Anziché ripercorrere a sguardo basso la vicenda dei chiostri spogliati, Padre Telesforo la anima di una iucunditas quasi francescana. Il racconto è esuberante. Padre Angelo dispone che venga recintato il fonte miracoloso della Madonna, a Concesa, ma le donne del luogo tanto bussano al Convento da scoraggiare la disposizione. Padre Anastasio cede alle insistenze del barbiere, che vuole giochi al Lotto i numeri del Papa: l’insperata vincita pare riacquistasse al Carmelo il chiostro di San Girolamo a Ferrara.
Solleva grave scandalo il fatto che, durante la questua del frumento in una cascina trezzese, Fra’ Giacomino commenti come nel quadro di re Vittorio Emanuele II meglio starebbe una Madonna o un Santo incorniciato. Un altro fratello donato cucina invece il pesce del venerdì con tanta arte da dargli sentore di mortadella.
Padre Gianluigi Corvi (1826-1908), rifondatore del Convento di Concesa, ne rinviene le chiavi nel camino del curato; sotto le ceneri. Benché nuove, si affretta lui a sostituire in santuario le tende gialle e nere, che rammentano spiacevolmente il vessillo dell’invasore austriaco. La chiesa carmelitana viene affrescata dal pittore vaverino Natale Riva (1835-1895), che gli dà artistica veste, «ma indossa ancora scarpe da contadina»: così commenta Fra’ Telesforo circa il pavimento sconnesso, imbarazzando Corvi fino al rossore.
Camei d’ilarità, battute quasi bambine correggono la fierezza del dramma: i Padri dispersi o la riduzione dei chiostri a filanda. Ma questo sorriso è incauto, astratto dalle cose del mondo?
L’opera di Domenico Cavalca «Lo Specchio de’ Peccati» (1333) ebbe larga diffusione nell’Ottocento, contando felici edizioni specie a Milano. La prosa fiorita del frate predicatore svergogna la tristezza disordinata come il peccato che mormora di Dio, lamentando il creato. Questa malevola disposizione si apre in quattro rami, che fanno crescente ombra all’anima fino a ridurla nel buio.
La tristezza per la perdita di un bene materiale o quella per l’altrui guadagno, anche spirituale, sono viltà su cui riesce più bello tacere. Ma si profila una tristezza peggiore persino della contrizione inscenata: è il risentimento di chi aiuta l’Altro e guarda altrove senza sorriso né carità, agendo per rigore kantianamente formale e quasi fariseo; con un pugno di cenere nel cuore.
Del Cristianesimo, il filosofo Friedrich Nietzsche (1844-1900) considera miserabilmente proprio questo triste risentimento: peccato di cui il sorriso carmelitano testimonia l’opposta virtù almeno in Padre Telesforo, Gerardo e Benigno.
Sorridere agli Altri persino dalla croce significa la santità eroica e, per inatteso cortocircuito, anche l’eroismo santo che Nietzsche rievoca da Omero con filologica nostalgia. Ettore accoglie senza lamento il destino giocatogli dagli dei; il Santo consente con uguale sorriso al luogo che la Provvidenza gli riserva. Chi non si centra serenamente sul posto preparatogli resta uno «spostato».
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Ringrazio i Padri Carmelitani del santuario “Divina Maternità” a Concesa; Mario Fordiani, che ha riprodotto le immagini storiche di Padre Benigno Calvi dall’Archivio del Convento; Elena Mauri per il confronto sul tema in articolo.
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