Dipingeva scenografie alla Scala, finì a ritrarre l’Antartide: l’artista coi pennelli nella bisaccia, Ferdinando Brambilla.
Ferdinando Brambilla, pittore alla corte e sui vascelli di Spagna, nacque il 12 febbraio 1763 «da genitori probi e agiati della Cantarana»: uno scampolo di Cassano documentato fin dal 1579 sulla riva mancina dell’Adda. Qui mamma Antonia Ferrari diede a Carlo Francesco Brambilla anche una bimba, Marianna, il cui figlio ingegnere Giuseppe Legnani descrive lo zio artista «di figura mezzana, colorito bruno e occhio vivissimo».
Ferdinando studiò con Giocondo Albertolli presso la Scuola d’Ornamenti milanese e poi all’Accademia di Brera. Il teatro «La Scala» gli commissionò alcune scenografie, di cui una (per l’opera «Il Trionfo della Religione») venne parecchio applaudita. Gli applausi li sentì anche il conte Melzi d’Eril, che la corte madrilena aveva incaricato di radunare pittori e naturalisti per una spedizione scientifica. E propose a Ferdinando di imbarcarsi, spese escluse, per 27.000 reali annui che l’artista faticò poi a riscuotere.
Le due corvette armate dal Ministero della Marina Spagnola si chiamavano «Atrevida» (Intrepida) e «Descuberta» (Scoperta). Erano salpate due anni prima da Cadice ma ne avevano altrettanti ancora da navigare, stando alla rotta tracciata da Alessandro Malaspina che era al timone della prima. Brambilla, nel 1791, doveva solo raggiungerlo accettando un passaggio sulla nave che accompagnava nelle Americhe il nuovo viceré del Messico e di Cuba. Iniziò a disegnare vastità già durante questo viaggio, che terminò a Veracruz stringendo la mano di Malaspina.
Ferdinando divideva con altri due artisti più un botanico francese e un naturalista boemo il compito di documentare coste, etnie, faune, flore che lasciavano l’Europa tanto affascinata. Salì sulla «Atrevida» perché il comandante dell’altra imbarcazione, José Bustamante, doveva soprattutto cercare il Passaggio a Nord-Ovest. La sua corvetta avvistò invece il Perù, il Cile, l’Australia, le Filippine, la Cina: fermò sei mesi a Manila, dove Ferdinando studiò la piazza di San Francesco e di Antonio Pineta disegnò il monumento funebre. La nave su cui risalì s’incagliò nei ghiacci dell’Antartide, che il pittore avrebbe voluto disegnare. L’equipaggio aspettò tre mesi, prigioniero del gelo. Poi rientrarono tutti a bordo di un’altra imbarcazione, lasciando là quella di cui nel 1850 i giornali spagnoli dissero che l’oceano aveva finalmente risputato qualche asse.
Attraccarono a Buenos Aires, dove Ferdinando riordinò i suoi schizzi: attenti, inclini ai colori cupi ma di ampio scorcio. Tempeste, grandezze, porti e incontri disarmati con selvaggi talmente buoni da sembrare messi lì da Rousseau. Il porto di Bunos Aires, ritratto dall’artista, diffuse in tutta Europa l’immagine di un mondo che non era più immaginazione. Il suo tratto presentò l’Australia e le Filippine agli abitanti del Mediterraneo.
Il favore della corte, le tele che il testamento lascia a un Cassanese
Malaspina e Brambilla rientrano in Spagna il 21 settembre 1794. Un sommario processo condanna il primo a 10 anni e un giorno d’immotivata reclusione, forse per inimicizie di corte. La condanna non tocca il pittore, che deposita i suoi disegni all’Ufficio Idrografico della Marina. Li riorganizzerà solo nel 1806. Intanto giura fedeltà a re Carlo IV di Borbone, che lo designa pittore architetto e ornatista della Real Camera. Gli commissionano luminarie e archi trionfali. Lavora con Goya ma non per questo ne diventi amico.
Nel 1800 sposa Giuseppina Tami che gli partorisce l’unica figlia, Antonia (1808-1869): e quello stesso anno difende Madrid dalle giubbe francesi, meritandosi la croce al valore che gli appunteranno più tardi. Segue a Cadice la corte, di cui mantiene il favore: con un altro pittore, incornicia le rovine di Saragozza in 34 quadri da cui trarrà anche delle acqueforti. Si propone invano alla direzione della «Casa della Porcellana», che ne giudica le pennellate troppo ampie per la miniatura. Diventa però direttore dell’Accademia di Belle Arti «San Ferdinando» e dedica un trattato alla prospettiva. Si concentra sulla produzione ad olio, frequenta le acque di Trillo per rinfrancarsi dai malanni che lo perseguitano fin dai viaggi col Malaspina.
La morte lo visita senza preavviso, il 22 gennaio 1834, nella Madrid che gli intitola una via. Sua figlia, maritata Vasquez ma senza prole, lascia per testamento 16 tele paterne a Giuseppe Legnani: sindaco cassanese dal 1861 al 1876 e nipote dell’artista. In una memoria del 1852 questi attribuisce allo zio persino il fronte meridionale del Palazzo Reale madrileno, disegnato da Filippo Juvarra. Delle 16 opere citate ha studiato la sorte don Carlo Valli, storico locale eccellente; ma dove stiano oggi ancora è un mistero.
2 Responses
Arkadi
grazie per questo bellissimo racconto!
Cristian Bonomi
Grazie a te dell’ascolto. A presto, c.