Soprannomi dialettali di famiglie lombarde. Segrete anagrafi, battesimi d’osteria a cui gli antenati si voltavano chiamati nel locale vernacolo: nomignoli sorridenti, che insistono specie per distinguere clan diversi nei cognomi più diffusi.
Il dialettale battesimo delle famiglie lombarde. Ad ispirare un soprannome era la provenienza da Roncello dei Solcia «Runscialatt», la costituzione affilata dei Fumagalli «Gusado» (diversi da quelli «Ragiüu», «Strasciafer» e «Abitifati» che vendevano confezioni), la prestanza degli scalpellini Scotti «Ercuj» (da cui i «Magnöo» calderai) o il mento sporgente dei Bonomi «Barbèll». Lo stesso cognome portano «Albét» (da Albino), «Bugét» (da Ambrogio), «Paciou» e «Papasc» (ambo corruzioni di Giuseppe).
Tra le altre famiglie lombarde un nome proprio evocano gli Albani «Pippo», i Mazza «Giuanum» o i Bassani «Lazarett», padernesi a Concesa dal 1755: noti altrimenti come «Maruchétt» per l’abbronzatura contadina e parenti remoti dei Bassani «Prét», «Tabachét», «Calai» e «Ross» cavatori. Distinti come i Tinelli «Pidrèli», «Varosia» (da Portesana: ne discende l’ottimo Romano Tinelli, autore di storia locale), «Dunett» e «Barnaèl» (già Mercandalli), citato in un modo di dire l’eccesso; «gross cum’è ‘l paee dal Barnaèl», eccessivo come il covone che questi ammassava.
I Pozzi sono scanditi «Consul», «Cosmu», «Andrej», «Piuù», «Zachét», «Pipii» ambulanti, «Cagar», «Giuan di Dio» o «Buschiröo». Tra lo loro Celeste Pozzi, ultimo contadino di cascina Portesana. Qui abitava il «Rar da Cost» Motta, sensale in bestiame, che taceva tra le parole lo spazio che il seminatore lascia tra una costa e l’altra. Diversi sono le famiglie lombarde dal cognome Motta detti a Trezzo «Balgiûs» (la cui madre busnaghese era dalla cascina Belgioioso) e «Panac» (zangola per fare il burro). Poco distante (a cascina Nuova) stava Rosa Radaelli nominata «Burducuna» perché, se il maggiolino («burduchèt») porta bene, la sua fortuna a briscola era sfacciata. Sposò Pietro, dei Minelli detti «Siet» e non «Ciomm» o «Bôcc» (il cui patriarca mondava pozzi neri). A cascina Candiana, invece, dai Cortiana «Süchèl» discese «Giuan Duce»: elettricista tra i primi sindacalisti trezzesi, che da piccino pare girasse le osterie imitando Mussolini.
Dalla gioventù venivano anche i soprannomi dei fratelli Emilio e Carlo Zaccaria. Il primo detto «Duta» giacché, davanti ad una gronda gocciolante, la sua prima parola mezza raffreddata fu «gocciola» («guta»). Il secondo, benché si sposasse, fu «Marell» (scapolo) da quando la sua prima fidanzata scelse il convento. Ma il racconto è dubbio come la voce dei Barzaghi «Nisciöo» proprietari di un noccioleto. Quelli concesini sono nominati «Bucascia» per via delle urla cui indulgeva Celeste. Altri i Barzaghi «Ratìn», «Sufèt» (anche Riva, per il ciuffo) e «Barburètt», parenti a doppio nodo dei «Bufett» (mantice), Monzani come i «Vedriee» (già Arnoldi) e i «Brech» (poi Comotti), tra i cognomi lombardi più noti a Trezzo.
Di approdo più recente sono i Crippa «Sancet» e «Bartoch», giunti da Concesa nel 1816; i Carrera da Basiano, migrati fabbri ferrai in paese dal 1829, sfilacciando i «Pucìn» di remota cuginanza alla «Svizzera», poi gestita dai Rocca «Michée»; i Vimercati «Giona» venuti nel 1804 da Busnago alla Cascinazza, dove stavano pure i Corti «Füghesta» (altri dai «Fifina», «Liôo» e «Giorc»). Non diversamente i Radaelli «Nazar», trezzesi dal 1760, da cui discendono i «Puarètt» di Concesa; i Gerenzani «Sciabal» (sghembo) e «Curamett»; i Brambilla «Merli» e «Bacioch»; i Persegoni cavatori «Casîna», i Motta/Vergani «Majalacc», i Margutti «Quaranta», «Farinèi» e osti «Scanétt» in via Torre, i Crespi «Cavagnìn» e «Luisa» bottegai su via Dante; i Pirola «Matèl», i Mauri «Pumìn»; i Bonfanti «Piscia», «Bagnoli», «Fuschètt» o «Mas’cett» (anche Zaccaria); oltre a «Scianscia», venditore come a Concesa i Mariani «Quartìn» (lontani da quelli nominati «Bagàtt», «Giopp» e «Manscét»).
Tra le altre famiglie lombarde di Trezzo i Bestetti/Sangalli «Biôt», i Mandelli «Bagiöna» (che sono Bassani a Concesa), i Vismara «Pilìn», i Rota «Vascétt», i Gregori «Spadétt» o «Moro» allo Scalomerci; i Mercandalli «dal Turet», i Nava «dal Matt», i Maggioni «Picum»; i Ghinzani «Zanèt», «Munfarèti» e «Bagnaa» (per via della nonna balia che allattava o del nonno rincasato fradicio dal fare legna); i Cipriani «Verunes» (da Valpolicella), i Sironi «Giréla» o «Piantavers», i Boisio «Malgascée» (dal nome dialettale dei fusti di mais); nella frazione i Biffi «Sacresta», gli Ortelli «Maiamica» e i Robbiati «Valsira».
Ma sono d’importazione anche i Perego distinti in «Buroo», «Campìn» (proprietari in un piccolo campo), «Cisnìn», «Picium», «Cai» (ristoratori lungo l’Adda), «Pasee» (pescivendoli), «Palatee» (venuti da Mezzago nel 1813, avi del missionario padre Rocco Perego) e «d’Alesi». Di questo clan era Gemma «Pin d’Alesi», nata cioè da Giuseppe e pronipote d’Alessio, sarta gerente l’osteria «Due Merli» in via Ermigli. Più raccolta la locanda della Guazzoni «Pina Mu(r)nera» (mugnaia) in un mulino dismesso su via Dante: rispondeva di non avere che il crodino a ragazzi ansiosi di cocktail.
Per approfondire:
Qui la prima parte.
In argomento dialettale, su questo sito:
- Bestiario del dialetto lombardo;
- Medicina contadina: curare in dialetto;
- Insulti in dialetto lombardo: più risa che offesa;
- L’Adda, cerniera del dialetto.
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