Il latino ha espressioni pittoriche e brevi: una lingua in armi, che affila locuzioni, motti e ironie come audaci colpi di spada.
Tacito è forse l’autore che meglio esprime l’icastica sintesi del latino: Multa paucis, questa lingua dice molto nelle poche parole, che bastano perché l’uditore acuto intenda; Intelligenti pauca. Talora note Lippis et tonsoribus (Orazio – lo sanno persino i miopi e i barbieri), le locuzioni latine sono memorabili e incisive: hanno pensiero sapido e dolcezza espressiva; Sal in mente et mel in ore (sale in zucca e miele sulle labbra). Lo studio trezzese del giurista poeta Luigi Medici junior (1888-1965) porta scritto sugli scaffali Age quod agis, fa’ cosa stai facendo, sii presente alla tua azione senza che il pensiero divaghi: altrimenti, Multa agendo nihil agens (Fedro – chi fa molte cose insieme non ne porta a termine nemmeno una).
La consapevole messa a frutto dell’istante ambienta ammonizioni in latino, che compaiono anche sulle torri campanarie, amministranti l’economia delle ore: Tempus edax rerum (Ovidio – il tempo è divoratore di cose); Horae pereunt et imputantur (Marziale – le ore corrono via e ci vegono messe in conto). Lente currite, noctis equi! esclama il disperato Faust di Christopher Marlowe (correte più lentamente, cavalli della notte!). Festìna lente, l’espressione che Svetonio assegna in greco all’imperatore Augusto, viene scelta da Cosimo I de’ Medici quale motto della flotta medicea, cui è simbolo una tartaruga a vela: “Adelante con juicio”, citeremmo da Manzoni; sii fattivo ma prudente. Prudente anche nel peccato, aggiunge un adagio malizioso: Nisi caste, caute (se non castamente, procedi almeno con cautela).
Per contraccolpo, la meditazione sulla morte ci installa nella vita con più coscienza: la mietitrice Aequo pulsat pede (Orazio), attraversa con piede imparziale la soglia del ricco e del povero, se Mors omnia solvit (la morte risolve e assolve: Virgilio – Parce sepulto, perdona a chi muore). Etiam periere ruinae (Lucano) commenta Cesare là dove di Ilio non sopravvivono nemmeno le macerie: Et campos ubi Troia fuit (Virgilio), ci sono solo campagne dove un tempo sorgeva la superba città. Finem respice sussume nella tarda latinità il consiglio squisitamente greco che Solone dà a Creso di non insuperbirsi prima che la morte compia il numero dei suoi giorni; solo allora si potrà sciogliere il giudizio.
Memento, il latino che non muore e parla di morte
Il Memento mori ricorre anche in pittura: col secentesco Et in Arcadia ego, la morte dichiara che mieteva già al tempo mitico dell’Arcadia. Sic transit gloria mundi (così passa la gloria del mondo) è la formula con cui il cardinale protodiacono ammoniva il neoeletto papa in latino, bruciando della stoppa. In poetica convergenza col persiano ʿUmar Khayyām (Riempi il tuo cranio di vino prima che si riempia di terra, citato da Hikmet) persino la Bibbia invita a intrecciare serti di rose prima che imputridiscano: Coronemus nos calycibus rosarum, antequam marcescant (Sapienza 2, 8). La vita esulti in un continuo prendere congedo (Rilke). I morti stessi fanno eco al monito da incisioni o sculture come quelle presso il campo santo a Ruginello di Vimercate: Hodie mihi, cras tibi (oggi a me, domani a te); ma anche Fui non sum, es non eris (io fui e non sono più, tu sei e non sarai), Sum quod eris, fui quod sis (sono ciò che sarai anche tu, fui ciò che ancora tu sei). Siamo insomma Pulvis et umbra (Orazio – polvere e ombra) e ci costruiamo crollando; Col tempo compila Giorgione nel celebre ritratto di vecchia.
Sono frequenti epitaffi in latino come Sit tibi terra levis (ti sia lieve la terra) o in forma Virtute vixit, memoria vivit, gloria vivet (visse nella virtù, vive nella memoria, vivrà nella gloria). Scritta nella pietra, Magis ostentus quam datus (più mostrato che dato) è la frase che rimpiange il breve pontificato di Leone XI e Giovanni Paolo I. Povera cosa fatta di tempo, l’uomo Mortem antecessit (Seneca – muore prima di morire) se non impiega onestamente i giorni che gli sono concessi; malgrado Probitas laudatur et alget (Giovenale – l’onestà è lodata e muore di freddo). Pensare alla morte è come ascendere in vetta alla montagna: da quella quota, le cose in vista prendono dimensione e prospettiva.
Il latino amoroso e amicale
Il latino invita con mirabile sintesi a essere non Amantes amentes (Lucrezio – amanti dunque folli) ma devoti Amore, more, ore, re (nel sentimento, col gesto, la parola e alla prova dei fatti). Amor tussisque non celatur (Ovidio – l’affetto e la tosse non si possono dissimulare) e Amor arma ministrat (l’amore arma l’amante di virtù che ignorava d’avere) al punto che Ama tamquam osurus (tu, ama come se poi dovessi odiare quella stessa persona): infine, Omnia vincit amor (Virgilio – l’amore trionfa su tutto). La formula sponsale riassume Ubi tu Caius, ego Caia (dovunque tu sarai Caio, io sarò Caia), benché l’epitaffio della matrona latina sia ambientato solo in luogo domestico: Domi mansi, lanam fecit (stette a casa, filò la lana).
La porta di casa è aperta agli amici, Ostium non hostium (entrata dei non nemici). Benché San Bernardo affermi che Beata solitudo sola beatitudo (la beata solitudine è la sola beatitudine), l’amicizia viene tenuta in alta considerazione dagli adagi: Amicus certus in re incerta (l’amico si scopre nella difficoltà). E’ stimata la lealtà Vir viro, da uomo a uomo, essendo vir corradicale di virtus per Cicerone, che prosegue: Non nobis solum nati sumus, non siamo nati solo per noi ma per la Patria e gli amici, come riferisce il cartiglio sul portone d’ingresso a un cortile storico in Canonica d’Adda.
Abelardo soffre la Libido rixandi di taluni intellettuali (l’accanito gusto per la discussione), benché il torto sia spesso da ambo le parti, se Iliacos intra muros peccatur et extra (Orazio – si sbagliò dentro e fuori le mura di Troia). Tertulliano cita invece i pavidi In pace leones, in proelio cervos (quanti ruggiscono in tempo di pace ma nella battaglia scappano come cerbiatti). Non mancano gli sprovveduti che agiscono inutilmente, come chi conduce Ululas Athenas (civette ad Atene, di cui l’animale è già simbolo). Abbondano gli improvvisati, che si piccano di ammaestrare chi ne sa più di loro: Sus Minervam, il porco vuole insegnare alla saggia dea, cui dovrebbe solo essere sacrificato. Di fronte a questi modi dell’idiozia, gli adagi latini invitano ad avere misura di sé, Ne extra oleas (senza andare oltre gli ulivi che recingono lo spazio di gara per gli atleti ateniesi): il ciabattino non faccia commenti oltre la suola che gli compete, Ne ultra crepidam sutor, da cui discende l’aggettivo inglese ultracrepidarian. Malgrado il numero degli stolti, Deo propitio (col favore del cielo), gli autori latini meritano pochi ma virtuosi amici (Omina preclara rara, tutte le cose belle sono rare) con cui carteggiare Et ventis adversis, anche nella difficoltà (D’Annunzio – persino coi venti contrari); o Sub rosa (sotto vincolo di segreto, espressione specie d’ambito anglosassone, dove la rosa ricorre nei luoghi di riunione politica e prima ancora sui confessionali). Cicerone ama la classica formula Valeo si vales (sto bene se tu stai bene) all’inizio della lettera, che nei secoli avrà congedi diversi: Ex imo cordis, Ab imo pectore o lo squisito Salute e Rispetto di epoca napoleonica.
Latino e psicanalisi: Jung e Freud
I detti del latino incoraggiano a essere risolti e risoluti: Unus et idem (uguale a se stesso) e non Aliud stans, aliud sedens (avendo un’idea da seduto e un’altra, alzandosi). Ognuno può rivelare abilità più alte della propria estrazione, Maiores pennas nido (Orazio – ali più ampie del nido); essere tanto incerto tra più intenzioni da risultare, lui solo, folla a se stesso, Sibi turba; tralasciare infine speranze e timori, Nec spe nec metu (motto di Feltre e del 7° Reggimento Alpini), per giungere a rendere percorribile l’inaccesso, Avia pervia; e condurre grandi imprese per la via più difficile, Augusta per angusta (l’aggettivo Augustus è dal verbo latino Augeo, accrescere). Possunt quia posse videntur (Virgilio, Eneide, V, 231), tutti riescono se solo pensano di poter riuscire. L’arreso dice Volo, non valeo (voglio ma non posso) mentre l’audace In omnia paratus (pronto a tutto) opera Per fas et nefas (con mezzi leciti e illeciti), Velis remisque (coi remi e le vele), Palam vel clam (apertamento e in segreto), guerriero Sine captivis (senza fare prigionieri) fino a essere Aut Caesar aut nihil (Ladislao I d’Angio-Durazzo – O Cesare o niente).
Il pragmatismo latino sbriga il problema Auribus lupum, acchiappando cioè il lupo per le orecchie. Propone gesti decisi, se l’eroe dell’Eneide virgiliana riesce a smuovere persino l’Ade: Acheronta movebo (muoverò gli inferi) è verso caro a Sigmund Freud, che lo pone in exergo a “L’interpretazione dei Sogni” (1900). Carl Gustav Jung vuole invece la sua citazione prediletta all’ingresso di casa: Vocatus atque non vocatus, Deus aderit (invocato o meno, Dio comunque verrà).
L’asciutta eleganza del latino sentenzia crudelmente: perpetuando l’odio per Cartagine, Punica fides è il falso promettere (cartaginese, o meglio fenicio come lo stratagemma di Platone nel libro terzo della Repubblica); Armatae preces le suppliche irresistibili (come fossero armate). Corruptio optimi pessima, l’uomo migliore si rovescia nel peggiore, scegliendo il male. Eppure, talune colpe sono occasione di bene, se Agostino definisce Felix culpa (danno fortunato) il peccato originale, che apre la storia all’Incarnazione di Cristo. Erasmo da Rotterdam rileva amaramente che Arbore deiecta, quivis ligna colligit (tutti fanno legna dall’albero che cade): non c’è chi assista davvero l’altro nella sventura senza cavarne vantaggio. Rincarerebbe William Shakespeare che Gli uomini chiudono la propria porta contro il sole che tramonta; non c’è riconoscenza per chi sedette alto e ora declina, come Timone d’Atene. Eppure, Post nubilia Phoebus corregge positivamente l’indole latina: dalle nubi tornerà il sole. Il filosofo Democrito intanto sorride: Ride, si sapis (se sai, ridi).
Le locuzioni del latino sopravvivono per la virtù d’essere brevi: Relata refero ricolloca quanto detto a notizia, di cui non è sincerata la veridicità; Obtorto collo (col collo torto) si compie l’opera a malincuore; Brevi manu chiarisce una consegna diretta, specie in denaro; in calce a una lettera, la formula Currenti calamo cerca comprensione per eventuali errori nella stesura affrettata; Mutatis mutandis avverte della dovute distinzioni in casi pur consimili; Extrema ratio è la soluzione obbligata, quando decadano tutte le altre; una cerimonia More maiorum rispetta la tradizione tramandata dagli antenati; Ab ovo ricapitola l’argomento dall’inizio, e cioè dall’uovo di Leda. Coi gemelli Castore e Polluce ne nasce Elena che, rapita da Paride, innesca la guerra di Troia. Da Tacito, Sine ira ac studio esprime un’assoluta imparzialità (senza animosità o simpatia). Traspare piuttosto ironia dall’odierno impiego delle locuzioni In corpore vili (su un povero corpo senza importanza) o Pedibus calcantibus, dando un tono dottorale alla semplice dichiarazione che andremo a piedi.
In latino, echi e parole
Nec recisa recedit (nemmeno spezzata retrocede) è il motto dei Finanzieri volontari nella Grande Guerra; Salve, solve, salva la più concisa invocazione alla Vergine Maria. La persuasione del latino arma le mani o le congiunge in preghiera. Numerose e intense sono le citazioni devote passate all’uso comune. Carl Marx chiude la dura “Critica del programma di Gotha” (1875) con l’inatteso Dixi et salvavi animam meam (ho parlato e ho salvato la mia anima), frase in cui biblicamente echeggia Ezechiele 3,19. Dalle Scritture, Giorgio La Pira e Marco Pannella riprendono la celebre espressione paolina Spes contra spem, che riferisce in origine la fede incrollabile di Abramo oltre ogni ragionevole sperare. Fondatore del Partito Radicale, Pannella ritrova la locuzione, proponendo di essere noi stessi speranza incarnata (spes, nominativo) e non di averne semplicemente una (spem, accusativo).
Nei “Promessi Sposi”, Manzoni propaga un’altra, liberatoria sentenza di San Paolo: Omnia munda mundis (tutto è puro per i puri, cui bastano i fiori – Sat mihi flores – così ripete nel marmo la Cappella della Purità alla chiesa napoletana di San Paolo Maggiore). Casta acqua si attinge infine al pozzo del Santuario dedicato, presso Curtatone, alla Beata Vergine Maria delle Grazie: sulla struttura il latino consente un perfetto palindromo, Tibi sitis, sitis ibit (se sei assetato, qui ti disseterai). Una frase di geometrica chiarezza. Il termine “latino” è sinonimo di “perspicuo” già al tempo e nella lingua di Dante Alighieri: ancora oggi, in molti dialetti lombardi l’aggettivo “ladìn” vale “veloce”, “immediato”.
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