Il porto natante è un traghetto a fune consentito dalla natura costiera e della corrente. Sull’Adda, questi sorvegliati passaggi permettevano storicamente il commercio tra Ducato di Milano e Repubblica di Venezia secondo gli accordi di pace. Olginate, Brivio, Imbersago (l’unico superstite), Trezzo, Vaprio e Cassano erano i sei traghetti del medio corso, efficienti solo di giorno a cura di ufficiali, che ne riscuotevano il dazio. In epoca di guerra o pestilenza, l’attraversamento diradava, istituendo lungo il fiume cordoni sanitari e vigilanze aggiuntive. Il secolo XIX ramifica tranvie e ferrovie, favorendo sull’Adda moderni viadotti in sostituzione dei porti natanti: i ponti di Vaprio e Cassano, più volte ricostruiti; Olginate (1870), Lecco e Trezzo (1886), Paderno (1889), Brivio (1917) sostituiscono così la secolare fune tra le rive.
La fune e il traghetto. Se ogni fiume unisce le sponde che divide, più di altre acque l’Adda segna questa contraddizione. Fino all’invasione napoleonica, il suo medio corso demarca il Ducato di Milano dalla Repubblica di Venezia. Poco a nord dell’odierno villaggio operaio di Crespi d’Adda, il confine curva però sul Fosso Bergamasco, ritagliando la Gera d’Adda a vantaggio ducale.
Rivali di giorno, le due sponde sono notturne complici: clandestine granaglie verso la Valle San Martino, illegalità cui indulgono specie le milizie spagnole, fughe simili a quella di Renzo Tramaglino, pesca illecita con recinti o paste avvelenate1. Onesto o criminale, il colloquio tra le due rive prosegue specie presso i porti natanti: affacci d’Adda dove la natura costiera e delle correnti incoraggia la costruzione di almeno undici traghetti per il sorvegliato passaggio sul fiume; sei dei quali nel suo medio corso2. Abbattuti i ponti romani di Vaprio e Olginate3 insieme a quelli medievali di Cassano e Trezzo4, i porti consentono secolarmente il passo oltre il liquido confine dell’Adda.
Il traghetto di Olginate è a pendolo, giovandosi di un palo conficcato in piena Adda; un ponte sostituisce quello di Brivio nel 19175; il traghetto di Imbersago è l’unico ancora efficiente; quello di Trezzo viene smantellato nel 1886; Leonardo da Vinci ritrae nel 1513 il traghetto tra Vaprio e Canonica (Codice Windsor, foglio 12.400)6, che Alessandro Manzoni cita al capitolo XVI dei Promessi Sposi; quello di Cassano, infine, figura in affresco presso il locale oratorio di San Dionigi7. Escluso il primo, ogni traghetto si compone in due barconi identici e saldamente abbinati, che sostengono un pontile unico. Dalla sua quota si innalzano a forma di colonna o cavalletto i legni che poggiano al lato nord della fune, tesa in alto tra le rive. Il manovratore angola il traghetto che, trattenuto da quel cavo, resiste alla corrente. Questa resistenza scompone la forza fluviale per rinvestirla nell’attraversamento dall’una all’altra riva.
Casati illustri si contendono il privilegio dei traghetti che, serviti solo di giorno, sono spesso militarmente custoditi per sventare illeciti notturni. Le famiglie Landriani8, Barbiano di Belgiojoso e Castelbarco godono per esempio il diritto di portizzazione a Imbersago9; i Marliani a Trezzo e i Melzi a Vaprio. Essendo l’Adda esclusivo appannaggio milanese, il Ducato promuove dal Quattrocento l’istituzione di porti natanti e ne concede il privilegio. Al cadere di quel secolo data il primo soggiorno milanese di Leonardo da Vinci, cui è talora attribuita la paternità del traghetto, animato dalla forza fluviale in scomposizione. Ma che il genio vinciano ritragga più tardi il porto di Vaprio, mentre è ospite di Gerolamo Melzi, non sembra conforto sufficiente a quest’ipotesi.
Certo è che le Paci di Cremona (1441) e poi di Lodi (1454) disarmano lo scontro fra Ducato e Repubblica: l’intesa assegna al primo i diritti d’acqua, accelerando la proficua domesticazione dell’Adda, modificata a immagine e somiglianza di esigenze irrigue, commerciali o di mulino. Componendo le tre utilità, il vicino naviglio Martesana risale proprio ai decenni, in cui si riordina anche l’assegnazione dei traghetti.
Alla signoria di Filippo Maria Visconti (1412-1447) risalgono 37 porti censiti nel Ducato. Il duca dispone che un officiale li presieda, contro passaggi illeciti e commerci fraudolenti di sale e biade: qualora le rendite dell’attraversamento siano accordate in beneficio a un privato, questi ha l’onere di stipendiare l’incaricato. Per risparmio, la dignità di officiale viene spesso assunta da portinari analfabeti che, addetti all’attracco delle barche, non controllano nemmeno le bollette regolamentari prima di trasportare i passeggeri. Solo nel caso di pestilenze, Visconti invia cortigiani e camerieri di sua intima fiducia perché sorveglino i porti, istituendo un cordone sanitario lungo l’Adda.
L’officiale in carica dimora giorno e notte presso il porto, conosce titolo e nome di chi attraversi il fiume, ne sincera eventuali lettere di passaggio, usa riguardo specie agli ambasciatori di altri potestati e riscuote la tariffa prevista per il transito, che si concede gratuitamente ai cavallanti del duca10.
I traghettatori conoscono la profonda calligrafia dell’Adda: di giorno quello è il loro fiume, di notte quel fiume è loro. Da Lecco via Adda, naviglio di Paderno e Martesana, la corrente porta in braccio cose, persone e idee: equipaggi di tre persone (un «parone» e due aiutanti) smontano il carico a Milano entro quindici ore11. Parone è anche Antonio Pozzone (1720-1805) che rilancia l’economia familiare, diventando portinaio al traghetto di Trezzo.
La sua famiglia si colloca felicemente nella società paesana: Antonio aderisce alla confraternita di San Rocco mentre sua moglie pratica quella di Santa Marta. Il figlio Andrea è «Molto Reverendo Prevosto» di Trezzo (1808-1827) e un nipote, l’abate Giuseppe Pozzone (1792-1841), succede a Giuseppe Parini sulla cattedra braidense di umane lettere, essendo inoltre precettore in casa Manzoni. Spiriti sottili dalle larghe spalle, che imparano la voga prima del latino.
Da Le rive al porto e il traghetto di Trezzo (2017)
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1 Adele Buratti Mazzotta e Gian Luigi Daccò (a cura di), L’Adda trasparente confine Oggiono 2005.
2 Hermann Kellenbenz, I Borromeo e le grandi casate mercantili milanesi in AAVV, San Carlo e il suo tempo, Atti del convegno internazionale nel IV centenario della morte (Milano, 21-26 maggio 1984), Roma 1986, p. 825.
3 Giovanni Aldeghi e Gianluigi Riva, «Il ponte romano sull’Adda tra Olginate e Calolzio» in Archivi di Lecco e della Provincia, 2005, n. 4.
4 Ariberto Crivelli, Gli avanzi del castello di Trezzo, Milano 1886.
5 Angelo Borghi, Brivio – ponte sull’Adda, Missaglia 2011.
6 Empio Malara, Leonardo, Vanvitelli e Bellotto a Vaprio d’Adda, Milano 2005.
7 Carlo Valli, L’oratorio di S. Dionigi e la Madonna del Miracolo, Quaderni del Portavoce n. 8, Caravaggio 1986.
8 I Landriani sono anche castellani a Trezzo, dove tengono ampie proprietà.
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