Sabato 23 giugno 2018 alle 16.00, presso il villino del Castello Visconteo di Trezzo, Giuseppe Baghetti (1936) inaugura la mostra “Intorno all’Adda“: prima personale dell’artista artigiano, che canta le umili glorie del fiume. Dal 24 giugno al 1° luglio l’esposizione, patrocinata dall’Amministrazione Comunale e dalla ProLoco, apre da martedì a venerdì (15.00-18.30); sabato e domenica (10.00-12.00 e 15.00-18.30).
A Giuseppe Baghetti, artista artigiano, piacerebbe il dono di essere invisibile. Si china sul tornio con la stessa devozione che un pianista metterebbe alla tastiera; ed esegue cose grandi con umile mano. Scava un’anima nel legno (larice, abete, ciliegio) o nella pietra (marmo, alabastro). Tra gli «Artisti Trezzesi» dal 1976 al 2010, allena pittura a olio e poesia per ritrarre la sua Adda, quella cui appartiene. Lavora la materia più capricciosa, il tempo, posando al sole obbedienti meridiane.
Orfano della Grande Guerra, papà Pierino Baghetti coltiva letteratura e timidezze in collegio. Per non scordarsi il cappello, preferisce tenerlo all’alzata della sedia, quando sosta presso l’osteria trezzese “della Barchetta”. Ma la gerente Emma Colombo “Cantuna” glielo appende ogni volta all’attaccapanni, finché i due non scambiano a riguardo la prima di molte parole. Da quell’incontro nascono su via Guarnerio: Nando (1934), Rita (1940) e tra loro Giuseppe Baghetti, il 13 dicembre 1936. Pepino pronuncia maiuscola la parola «Paese», con cui intende Trezzo e insieme l’Italia. Il suo senso di appartenenza non ha forma di radice immobile e arborea ma di fresco affluente; parte lungo l’Adda dall’affetto per i fratelli, cui la mostra è dedicata, e giunge fino alle memorie raccolte della Grande Guerra sui fronti del mare e della neve.
«L’Adda è innata» dice Giuseppe, che impara la voga sulle tredici barche locate lungo il fiume da zio Carlo “Cantun”. Con lui, intaglia remi e accomoda scafi dai nomi sospirosi (Adele, Liliana) o selvatici (Bisbina). “Anny” era la barca preferita da Baghetti e la sua fluviale poetica porta ancora qualcosa di quel legno in braccio alla corrente. Da “Rundanera”, in sponda milanese, Giuseppe nomina le radure della riva opposta con un dialetto complice e caloroso: le cave “di Spagnöo” (Spagnoli), “dal béss” (serpente), “Niculìn” e il “Funtanìn” (Sorgente XXIV Maggio).
Per lui, l’Adda è il luogo più noto e quotidiano: eppure, gli resta tanto misterioso e ignoto che lo guarda ogni volta a partire dallo stupore. La traduzione “cimentarsi” non esaurisce il verbo dialettale “nudrigà” coniugato da chi, come Pepino, esegua con speciale ispirazione proprio le tecniche che ancora non sa eseguire: scolpisce, dipinge o scrive, quando i colori sono le parole; e la semplicità sta nelle sue opere come il lievito nel pane.
Baghetti non è l’artista del secolo ma quello dei minuti. Tiene con sé il ricordo imperdibile di ciò che abbiamo perso: i salami gocciolanti dal soffitto sulle briscole degli avventori, all’osteria “della Barchetta”; i nostri antenati come volti di moneta; sull’Adda, la scia scritta dallo scafo e subito cancellata. Giuseppe chiama in scena i luoghi dallo sfondo: il castello, il ponte, la diga; solleva Trezzo per il picciòlo del campanile; e la via verso il rione Valverde gli si apre docilmente, come un libro letto con frequente devozione.
L’artista artigiano misura questa terra disegnata dall’acqua. Passeggia con in tasca le mani, che tanto spesso proseguirono nel remo, quando metteva altrimenti ali ai piedi in forma di pedale. Dalla voga, in sella o in cammino l’Adda si incontra meglio perché puoi guardare a cosa somigliano le nuvole, senza fermarti. L’incarnato del fiume cambia: ailanto, robinia e buddleja spettinano le rive, un tempo intrecciate di vigne e gelseti. Eppure, l’Adda continua a cercare non semplici abitatori ma amanti come Pepino.
Qui la mostra precedente, allestita presso il Castello:
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